E’ fin troppo facile accodarsi al populismo tanto di moda nel Paese che Non c’é e dire che chi guadagna milioni non ha diritto di scioperare, ma questa affermazione non rispecchia per intero il mio pensiero. D’altro canto per me è evidente che i lavoratori non sono tutti uguali e che quello che ha senso pretendere da un AD da 9 milioni di euro l’anno non è quello che si può chiedere a chi prende 800 euro al mese. Allora, l’approccio migliore per valutare il minacciato sciopero dei calciatori del 25-26 settembre è quello di analizzare i punti della contesa e cercare di farsi un’opinione propria su tutta la questione, prima di decidere se la mobilitazione merita o meno la nostra solidarietà.
Riprendo i punti uno per uno dall’edizione odierna della Gazzetta (ovviamente la mia valutazione si basa su quel poco che conosco del contratto nazionale e sulla sintesi estrema presente sul giornale milanese, per cui è suscettibile di evoluzione), ricordando che la questione riguarda solo i contratti di A, anche se Lucarelli ha furbamente ricordato che quello che succederà influirà anche sui contratti delle leghe inferiori, un po’ come le scelte della fiat su Melfi determineranno a pioggia un bel po’ di cambiamenti in tutte le imprese nel paese, più nel male che nel bene:
(1) Per la Lega deve essere flessibile, con i soldi in gran parte legati ai risultati, l’Aic accetta la parte variabile solo per il 50%.
Questo è sempre stato un mio cavallo di battaglia. Considerato il regime privilegiato dei calciatori in termini di emolumenti e le cifre allucinanti che percepiscono annualmente (la media per un calciatore di serie A è 1,3 milioni di euro all’anno), chiedere che ci sia un meccanismo per contenere i costi a fronte di performance scadenti tanto quando massimizzare il reddito in caso di buone stagioni mi pare necessario. Sia per riequilibrare un pochino la bilancia a favore delle società, ormai da tempo ostaggio delle bizze dei giocatori e dei taglieggi dei loro agenti, sia per stimolare i calciatori a fare al meglio quello che sono pagati per fare. Mi pare che un accordo sul 50% fisso massimo e il resto variabile, come richiesto dall’AIC (anziché qualcosa tipo 20%-30% fissi e resto variabile) sia ampiamente raggiungibile. Anche considerato che ora la percentuale è 75%-80% fisso e resto variabile. E la cosa avrebbe un innegabile vantaggio anche a livello del famigerato Fair Play Finanziario, permettendo di contenere molto il monte ingaggi (costo fisso considerato nel calcolo del FPF) e di variare molto la parte variabile degli emolumenti.
(2) Per la Lega il calciatore deve fare soltanto il calciatore, per l’Aic deve restare libero di decidere cosa fare fuori orario calcio.
Su questo storco ampiamente il naso. Da altre fonti non si capisce se la richiesta di “esclusiva” della Lega riguardi ogni attività o attività cosiddette “concorrenti”, anche se a questo punto andrebbe definito quali sono. Se la richiesta di non svolgere attività concorrenti mi pare ormai un classico soprattutto nei rapporti di lavoro lautamente remunerati (ma non solo, si pensi agli NDA che ti chiedono di firmare in qualsiasi azienda del settore tecnologico o farmaceutico anche se sei un impiegato in fondo alla scala gerarchica), la richiesta di non svolgere alcuna attività mi pare decisamente lesiva della fondamentale libertà da parte delle persone, quale che sia il loro reddito, di fare un po’ il cazzo che gli pare. Questo punto lo trovo controverso, ma penso che sarei d’accordo con la richiesta di non fare attività concorrenti, definendole in maniera precisa in sede di contratto però.
(3) La Lega chiede codici ferrei di condotta ed etica anche fuori dal campo, l’Aic è per mantenere libertà assoluta nel tempo libero.
Su questo sto con la Lega. Grossa visibilità comporta grossa responsabilità: io mi sarei anche un po’ rotto le palle di gente che dà il cattivo esempio. Ovviamente bisognerebbe guardare cosa contiene il codice deontologico del calciatore, ma in generale penso che un pochino più di integrità soprattutto in quei lavori che prevedono grande attenzione dell’opinione pubblica sarebbe auspicabile. Per mia indole se gli operai fossero pagati 5000 euro al mese mi risulterebbe più comprensibile chiedergli un atteggiamento rigoroso sul lavoro: se mi paghi quattro lire, pretendi un impegno da quattro lire. Diciamo che non mi sforzerò. Ovviamente non sono a favore di un irrigidimento che vada a decidere che cosa uno può fare o non fare, ma solo una richiesta di tutela del bene che viene pagato caro (anche dai tifosi). D’altronde avremmo anche un aspetto positivo: i calciatori, e forse molti che li seguono come semidei, si renderebbero conto che esistono cose che un uomo fa e cose che un uomo non fa, e che esistono i limiti alla propria voglia di fare tutto quello che ci passa per la testa anche passando sopra la pelle altrui.
(4) Le società chiedono che le cure dipendano esclusivamente da specialisti di fiducia del club, i giocatori vogliono restare liberi di scelta facendo pagare al club.
La chiave del punto mi pare: “facendo pagare al club”. Secondo me il diritto alla salute è inalienabile, ma d’altro canto è difficile che una società scelga specialisti che rompono i loro beni più preziosi (i calciatori). Secondo me andrebbe stabilito un tariffario dei tipi di intervento e tutto ciò che costa di più di tale tariffario è a carico del calciatore, che se giustamente vuole un super esperto che paga il doppio deve pagare la differenza. In alternativa al tariffario: esplicitare nel contratto che la cifra eccedente i costi preventivati dagli esperti medici di fiducia del club sono a carico del calciatore. Un po’ come nella sanità pubblica: io ho l’ASL, che costa poco. Se voglio andare nella clinica privata, un pezzo di servizio lo copre il ticket, il resto lo copro io a seconda di che livello vado cercando. Certo poi nella sanità pubblica c’è tutto un altro discorso da fare sui tempi e sulle mostruosità che il passaggio alla sanità privata ha generato (su cui non sono d’accordo, se non si fosse capito). Ma che i calciatori pretendano di andare dagli amici propri e far pagare il club, magari una cifra doppia rispetto alle strutture collegate alla società, mi pare francamente una richiesta un po’ fuori dal mondo. E che non trova riscontro negli altri regimi contrattuali in Italia.
(5) Sanzioni automatiche per i club in caso di mancanze classiche, l’Aic vuole restino di volta in volta decise dal collegio arbitrale.
Questo punto francamente non vedo il perché il collegio arbitrale non possa andare bene. Casomai stilerei una listino delle multe a cui il collegio arbitrale possa riferirsi (ma mi pare ci sia già). Mi pare un punto che messo giù così non esplicita bene la differenza con il regime attuale. Sospenderei il giudizio.
(6) La lega vuole riformare il collegio arbitrale con un presidente esterno al calcio, l’Aic insiste per non toccarlo, con presidente sorteggiato tra quelli designati da Lega e Aic.
Sull’arbitrato è in corso una discussione molto intensa anche nel mondo del lavoro “ordinario”. La presenza di un presidente neutro secondo me è elemento di garanzia in un collegio arbitrale. Questo vale in generale e vale anche in particolare nel mondo del calcio. Una volta accettato l’arbitrato per una serie di questioni, senza la presenza di un esterno non vedo come possa essere equo il giudizio.
(7) Per la Lega il tecnico deve avere la possibilità di decidere di far allenare anche in più gruppi, l’Aic è per mantenere il gruppo unico.
Anche su questo punto il desiderio dell’Aic mi pare difficilmente condivisibile. Nei margini del fatto che uno deve potersi allenare, non si capisce perché si debbano porre dei paletti ai metodi di allenamento. E se un gruppo di giocatori non fa più parte del progetto della società, fatto salvo che devono poter usare le strutture per tenersi in forma e avere ancora mercato, non si capisce perché non possano allenarsi a parte.
(8) La Lega chiede che un giocatore non possa rifiutare il trasferimento ad un club di stessa qualità e con soldi garantiti. Se rifiuta, risoluzione del contratto ma pagamento del 50% dell’emolumento e libertà di firmare con chi vuole. Per l’Aic è reintroduzione del vincolo.
Questo è certamente il punto più controverso. Ob torto collo se mi chiedessero di scegliere una posizione, quella della Lega mi pare paragonabile al ricatto di Marchionne. Un contratto è un contratto: non puoi obbligarmi a rescinderlo se non voglio, a meno che tu non mi offra qualcosa. Se riequilibro i contratti in termini di emolumenti, sarà compito della società fare valutazioni accorte. Se faccio un quinquennale a un 35enne non è che poi mi posso stupire che non se ne voglia andare prima. Se il quinquennale prevede una parte fissa contenuta, la cosa pesa relativamente sui bilanci e mi posso permettere di tenere il calciatore senza troppe menate. D’altronde la mediazione offerta di pagare il 50% degli stipendi rimasti come buonauscita e di lasciare il cartellino in mano al giocatore mi pare interessante: per molti giocatori e per molte società salverebbe capra e cavoli. Quindi diciamo che l’obbligo di accettare il trasferimento a parità di condizioni con annessa compensazione in caso di rifiuto potrebbe essere una strada da percorrere per trovare la giusta mediazione. D’altronde il diverso regime di tassazione delle buoneuscite consentirebbe già di percorrere questa strada, ma spesso le società preferiscono aspettare e vedere di trovare un acquirente più gradito l’anno successivo.
In generale l’argomento di come concludere un rapporto di lavoro non soddisfacente è il grande equivoco grazie al quale si è distrutto il mercato del lavoro e il futuro di almeno un paio di generazioni in Italia (e non solo): il punto cruciale è sempre stato come rendere più equo il processo di licenziamente bilanciando diritti del lavoratore e necessità delle imprese, ma anziché affrontare subito questo punto, prima si è voluti passare attraverso una flessibilizzazione totale del mercato del lavoro, alimentando un circolo vizioso di scontro e incomprensioni tra chi lavora e chi paga il lavoro guadagnandoci. Forse se dal lontano 1992 si fosse affrontato solo questo punto, gran parte dei diritti dei lavoratori sarebbero ancora lì. Forse adesso la parola flessibilità non sarebbe una patina ipocrita intorno alla parola precarietà.
Perché il punto è tutto qui. Equiparare i lavoratori “ordinari” che percepiscono 800-1000 euro al mese a chi ne percepisce 100 volte di più non è un giochino che paga. Perché non è uguale dover fare i conti per arrivare alla fine del mese e dover scegliere se prendersi una macchina da 60 o da 120 mila euro. Non è uguale manco per il cazzo.
Il problema è sempre il solito. Dipende dal nostro punto di vista. Nel mondo del calcio io penso che il peso delle società rispetto a quello di calciatori e agenti è troppo piccolo, e penso che questo alimenti in maniera per nulla virtuosa il mondo affaristico del pallone. Penso che sia necessario – da tifoso forse – che le società possano farsi valere soprattutto nei casi in cui i calciatori si ritrovano a fare i pensionati milionari, fregandosene di quanto valga emotivamente e sportivamente il loro lavoro per milioni di persone. Penso ovviamente che questo non possa andare in contrasto con la libertà delle persone di fare quello che vogliono e di esprimere le loro opinioni. Ma non mi sembra che nella bozza degli otto punti ci siano (a parte un paio di casi) elementi così draconiani come l’AIC vorrebbe far credere.
Trovo poi francamente insopportabile e ipocrita che tutti sostengano a gran voce le mille schifezze perpetrate nel nome della flessibilità sulla pelle dei lavoratori “ordinari”, costretti a vivere ogni anno l’odissea della ricerca di un lavoro a poche centinaia di euro al mese, nel disperato tentativo settimanale di far quadrare i conti, con la prospettiva di essere presto completamente tagliati fuori dal mercato del lavoro e senza alcuna tutela per garantirsi una vita dignitosa. E che poi nel caso dei calciatori si faccia i paladini dello Statuto dei Lavoratori. Come ho detto. Nel mondo del lavoro usciamo dall’empasse solo se teniamo la barra a dritta sulle cose importanti e trattiamo su quelle ragionevoli. Nel passato si sono già commessi errori: l’ingessamento del mercato del lavoro in Italia è stato a lungo tempo una realtà. Adesso in molti si sono accorti che le cure erano peggio della malattia e che la totale deregulation rispetto ai diritti dei lavoratori ha creato una schiera di giovani e meno giovani che difficilmente si lasceranno coinvolgere nel progetto dell’azienda o del datore di lavoro, e che più facilmente cercheranno di fregare lui o lei come sono stati derubati loro del proprio futuro. Forse bastava tenere i regimi contrattuali com’erano e puntare al problema vero: riformare le forme e i modi e i limiti con cui concludere un rapporto di lavoro.
Anche nel caso dello scontro AIC-Lega mi pare che il punto nodale sia tutto lì. Perché per il resto è difficile trovare un punto in cui trovarsi d’accordo con i “milionari del pallone”. Spero di aver chiarito perché secondo me lo sciopero dei calciatori è un calcio in faccia alla miseria, al di là del populismo facile con cui viene tacciata anche giustamente questa posizione.
Se volete sapere cosa ne pensa veramente la redazione di adminchiam, per disorientare il nemico l’abbiamo pubblicata su interistiorg.org:
Sciopero contro lo sfruttamento borghese della Lega Calcio
ma “Lavoratori!prrrrrr” è una citazione del mitico Marziano?
tre sono i punti critici di questa discussione lega-giocatori: pagamento legato alla prestazione dentro/fuori dal campo, utilizzo delle cure mediche, vincolo o liberta’ di trasferimento. il resto sta a definire piccoli dettagli.
se per propensione ideale tendo sempre a parteggiare con il lavoratore (cosa che comunque, a grandi linee, faccio anche in questa occasione), non posso non notare come il lavoratore in questione sia corrotto da fattori esterni. come nel caso tipico, tutto italiano, in cui il sindacato spinge tutto dalla sua parte, incurante dei diritti del lavoratore e delle richieste dell’azienda, in questa vicenda pesa quel magma di societa’, imprenditori, procuratori e factotum di vario genere che si mette di mezzo nel rapporto tra giocatore e societa’.
tre sono i punti chiave, dicevo, e su questi tre farei qualche osservazione rispetto a quanto scritto.
sul primo si e’ espresso gia’ dovutamente gianni mura nel suo domenicale su repubblica: ben vengano i pagamenti legati alla prestazione, ma chi stabilisce come si valuta sta la prestazione? l’attaccante che segna poco ma fa segnare il compagno di reparto va pagato meno? come si possono individuare criteri che giudichino la prestazione all’interno della manovra di squadra?
si rischia di aprire un guazzabuglio intricato. da questo punto di vista, secondo me, la risposta e’ unica: ritoccare al ribasso i contratti e verso l’alto i premi squadra. non si giudichi il singolo ma i risultati raggiunti dall’intero collettivo, naturalmente concordati ad inizio stagione.
lascio stare il discorso sui comportamenti fuori dal campo, perche’ si scivola nella morale e non mi riguarda. credo che sia ogni squadra a dover avere un suo “codice comportamentale” ed ogni giocatore libero di accettarlo o meno (non giocando per quella squadra o pagando le eventuali multe). anche perche’ c’e’ sgarro e sgarro: se tiro di coca rischio la squalifica antidoping o il collasso cardio-circolatorio in campo, se vado al ristorante rischio al massimo qualche grammo extra da smaltire in allenamento.
anche sul punto 3 mi appoggio al buon mura:
“è proprio obbligatorio firmare contratti superiori ai 2/3 anni? Molti guai nascono da lì. Se Grosso o Baptista non accettano il trasferimento a Istanbul o a Brema, arrivo a capirli. In Italia hanno la donna del cuore, o la scuola dei figli, e preferiscono non muoversi. Oppure, più o meno consciamente, vogliono farla pagare a un club che li ha voluti e poi rimossi, scartati, per giunta mandandogli contro i tifosi. Oppure sperano che il vento giri e torni a loro favore. Ci sono tante spiegazioni e c’è anche un contratto. Ci sono strade per risparmiare soldi. La prima che mi viene in mente è che nel mondo dello spettacolo è l’assistito a pagare la percentuale all’assistente, leggi procuratore, non il club che ingaggia il giocatore”.
tutti i punti centrati in poche righe.
la durata dei contratti e’ scellerata, soprattutto in rapporto all’entita’ di alcuni stipendi; si finisce che un milan si deve sucare il suo kaladze o jankulovski per una vita per colpa di un errore in partenza, con l’esito ancora peggiore delle piccole societa’ succubi e subalterne costrette per ricatto ad accogliere e pagare gli scarti (ogni riferimento a kaladze al genoa e’ voluto e sottolineato). se la societa’ sbaglia valutazione su un giocatore, sia la societa’ stessa ad accollarsi l’errore. se il giocatore rifiuta ogni trasferimento e’ spesso perche’ sono i suoi agenti a giocare al rialzo, e allora che le commissioni degli agenti se le paghi il giocatore stesso. ma se una squadra mi ingaggia accorgendosi (finalmente) che anche alla mia tarda eta’ sono ancora l’erede di redondo e poi vuole vendermi alla sandoria saro’ ben libero di rifiutarmi di vestire quella maglietta multicolor?
metto in fondo il punto 2 perche’ e’ il piu’ delicato, perche’ nello sport professionistico cure mediche significa una cosa soltanto: doping.
nel calcio generalmente il doping viene gestito dalle squadre, il che porta ad un maggior controllo dei valori dei singoli (con la possibilita’ di evitare i rischi dell’antidoping) ed anche ad una piu’ forte influenza sui controllori; in altri sport (ad es. nel Ciclismo) la diffusione di doping ed antidoping a spinto i singoli atleti a cercarsi i proprio medici/preparatori/fornitori, spesso tenendo la squadra completamente all’oscuro. la richiesta dei calciatori spingerebbe in questa direzione, che resta quella di maggior rischio per i team, ma che non prevede ne’ nell’uno ne’ nell’altro caso un argine alla diffusione massificata delle sostanze dopanti. da questo punto di vista mi verrebbe da appoggiare le squadre, vincolandole pero’ all’adozione di un “codice etico” (stavolta si’) come gia’ fatto da altre federazioni ed alla disponibilita’ a controlli efficienti.
Andiamo avanti con i ragionamenti. Anche secondo me i tre punti critici sono quelli, anzi secondo me il primo che citi l’accordo si trova. SOno gli altri due che sono cruciali, come ha detto anche Campana ieri nelle plurime interviste.
Io la mia opinione me la sto formando giorno dopo giorno e ho pubblicato l’articolo per fomentare una base di partenza.
Ti rispondo punto per punto.
Sul primo punto io non sto con gianni mura. Alcuni parametri sono facili da mettere a bonus: numero di presenze, gol, gol subiti, assist, oltre ai premi squadra. In generale mi pare evidente che si renderà presto necessario scendere con le parti fisse dei contratti e in generale con gli emolumenti.
Una squadra top fattura circa 200 milioni di euro (eccetto Bayern, Barcellona, Madrid, Manchester United) e ha un monte ingaggi di 150 lordi (inclusi i premi). Una roba senza senso e senza futuro.
Ma io rimango convinto che su quel punto si troverà un’intesa abbastanza agevolmente.
Gli altri due punti sono spinosi.
Io sono convinto che se un calciatore sceglie il medico fuori dalle convenzioni della società è giusto che se lo paghi. Punto. Se deve denunciare magagne, lo faccia. Perché se sposti il focus sulla questione doping apriamo un vaso di pandora su cui sarebbe interessante scrivere e ragionare (ad es: perché nel calcio non si fanno i controlli incrociati sangue/urine? giusto per cominciare eh!)
Non vedo come i calciatori si possano impuntare su questo punto e raccogliere solidarietà.
Il punto che definirà l’esito della trattativa è proprio quello relativo alla conclusione del contratto. La Lega di fatto chiede l’estensione di una norma FIFA che prevede una buonauscita con rescissione del 50% dello stipendio in caso di controversia durante l’ultimo anno a favore del calciatore (il famoso articolo 17, mi pare). La Lega chiede che valga anche per le società. E mi pare anche corretto: se vale in un senso, perché non nell’altro?
D’altronde l’appunto sull’abbreviare i contratti è cruciale, ma il problema è se i calciatori accetteranno contratti più brevi. Per le società è un rischio, ma a fronte di maggiore risparmio potrebbero accettare. Per i giocatori che problema è?
E soprattutto quando ci leveremo dai coglioni gli intermediari che come la distribuzione nel campo della produzione di contenuti fanno levitare i prezzi e i costi?
Ai posteri l’ardua sentneza. Ma mi pare che sia chiaro quale sarà il punto su cui scazzeranno ferocemente.
Intanto vi segnalo che le forze controrivoluzionarie hanno vinto e lo sciopero è stato revocato =D
QED
http://www.interistiorg.org/index.php/2010/09/21/vincono-le-forze-controrivoluzionarie-proletari-del-calcio-unitevi-e-lottate/