[Repost] Maroni e la tessera contro i tifosi. Per bene.

 

[questa della "tessera del tifoso" e’ una tale porcata fascistoide che ha smosso l’intestino pure a gianni mura, che non ha mai mostrato particolare simpatia verso ultras e tifoserie piu’ o meno "calde"…]

Occuparsi di sport, di calcio in particolare, ha i suoi lati positivi. Per esempio, potrei rivolgermi al ministro Maroni a proposito della sua direttiva sulle trasferte dei tifosi ignorando altre e più drammatiche trasferte sul Canale di Sicilia. Potrei ma non posso. Solo due considerazioni. E’ ben strano l´atteggiamento di molti leghisti. Si propongono come i più accaniti difensori dei valori dell´Occidente cristiano e appena qualche vescovo o qualche prete dice qualcosa che non gli torna lo mandano brutalmente a scopare il mare (è un modo dire milanese, va inteso come ramazzare l´oceano e, in greco, farebbe parte degli adùnata). Poi (prima regola: negare comunque, o almeno mettere in dubbio) è piuttosto atroce il loro far di conto. I 5 vivi dicono che erano in 73, morti recuperati 14 (vado a memoria). E fanno 19, dove sono gli altri 54? Come se il mare fosse un bancomat, una cassetta di sicurezza, ancora un po’ e gli si chiede la ricevuta. Ma si sa che i conti devono tornare (a casa loro anche loro, così imparano).

Continue reading “[Repost] Maroni e la tessera contro i tifosi. Per bene.”

Via i tifosi dagli stadi

 

Fenomeno curioso il calcio all’italiana: ogni tragedia diventa una scusa per un malcelato tentativo di peggiorare la situazione oppure per fare soldi. In altri tempi si sarebbe chiamato cinico opportunismo, mentre nel terzo millennio si chiama senso della cosa pubblica, in maniera a dire il vero piuttosto eufemistica. Quest’anno nella dodicesima giornata di andata e di ritorno (e poi si dice che sia il tredici a portare sfiga…) due tragedie hanno segnato il campionato di calcio italiano: all’andata in un autogrill un tifoso laziale viene ucciso dal proiettile sparato da un agente ad alzo zero, aizzato dall’isteria anti-ultrà e dalla sensazione diffusa tra gli operatori che contro i reati da stadio valga tutto e tutto venga giustificato dagli esperti del settore di fronte a opinione pubblica e politica; al ritorno in un autogrill un mezzo battibecco tra tifosi (al meglio) scatena il panico dell’autista di un autobus di tifosi bianconeri che investe (passandoci sopra con entrambi i treni di ruote) un tifoso del Parma. In entrambi i casi la risposta è: vietiamo le trasferte. Non importa se nel primo caso andrebbe vietato l’uso delle armi alle forze dell’ordine, o almeno garantito che i loro crimini venissero perseguiti con la stessa determinazione e pubblicità di quelli di altri settore della società italiana, e che nel secondo caso andrebbero incriminati per concorso morale i direttori delle principali testate giornalistiche e televisive italiane per l’isteria creata. Importa solo che si dia l’impressione di avere qualcosa da dire. Mentre a noi, che conoscevamo Matteo e non conoscevamo Gabriele, viene solo da rimanere in silenzio di fronte a morti assurde ed evitabili. 

Il vero problema è che nessuno ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di ammettere che il problema non sono le persone morte, ma la necessità del calcio di essere un bel business esente da imprevisti, degli stadi pieni sì, ma di marionette disposte ad applaudire tenuamente quando si segna un gol. Tanto i soldi arrivano dalla vendita di magliette di R9 e R10, e dai diritti televisivi. La miopia di questo ragionamento stupisce solo chi ci va allo stadio e chi le partite ama guardarle: senza calore umano, senza passione, non c’è calcio, ma solo un film (bello è tutto da vedere). Ma in Italia come al solito sarà troppo tardi quando qualcuno con un minimo di buon senso deciderà di prendere la parola. Tanto per ragionare a modo loro, basterebbe guardare nella tanto osannata Inghilterra: a parte il fatto che in Gran Bretagna si è intervenuti dopo tragedie immani individuandone le origini e proponendo soluzioni ai problemi specifici, non si è mai pensato che si dovesse avere uno stadio silenzioso ed ordinatamente noioso. Il problema in Inghilterra fu individuato nella fatiscenza degli impianti e nella scarsa possibilità di controllo: gli stadi furono rifatti da zero, e si implementò una rigida politica di controllo e prevenzione. Questo ha spostato gli scontri fuori dagli stadi, ma gli inglesi hanno deciso che stava loro bene di muovere il problema dallo sport alla criminalità ordinaria. E’ stata una scelta. In Italia non vediamo nessun intervento sugli impianti, strutture inadeguate, in cui tutti a cominciare dal presidente della Lega hanno mangiato miliardi del vecchio conio, sperando di mangiare ancora di più grazie all’Europeo 2012, fortunatamente sfumato dalle mani dei peggiori speculatori del Paese. In Italia non vediamo nessun intervento che cerchi di risolvere il problema del controllo negli stadi, ma solo la voglia di garantire alle forze dell’ordine maggiore agibilità nell’uso della forza (a caso di solito). In Italia vediamo tv e giornali che alimentano l’isteria ogni giorno, per vendere una inserzione in più, senza preoccuparsi di quanto quello che dicono produce nel popolo bue italico. 

L’unica soluzione a tutto questo è un po’ di buon senso, la misura di ciò che avviene nel mondo reale, lontano dai palchi e dai palcoscenici e dalle telecamere, e molto senso di responsabilità. Unito a un amore spassionato per il gioco del calcio e per tutto quello che rappresenta. Nessuno di quelli che sta in cima alla piramide che decide di questo sport gode di nessuna di queste caratteristiche: troppo chiusi nei propri palazzi per capire la realtà, troppo chiusi nei propri affari per capire il termine "buon senso", troppo moderni per capire il senso della parola responsabilità. Tanto paga sempre qualcun altro. Con la vita.

Da Spagna a Raciti fino all’utlimo stadio

«Nessuno
petarda, nessuno fumogena, nessuno coltella, nessuno bandiera.
Nessuno allo stadio», cantavano Elio e le Storie Tese nel 1994.
L'ironia potrebbe finire qui. Dal 1995 al 2007 sono passati 12 anni,
vari decreti legge anti violenza, molti soldi, miliardi di parole,
ogni volta uguali. Da «Spagna» all'ispettore Raciti, il
tempo ha anche constatato la sconfitta di idee da parte del mondo
ultras e la vittoria del calcio moderno. Come tra due guerre, gli
equilibri sono cambiati, la socialità si è involuta, il
«territorio stadio» sarà in ordine e disciplinato.
Non è cambiato niente, è cambiato tutto. Continue reading “Da Spagna a Raciti fino all’utlimo stadio”

La politica è mobile qual piuma al vento (riassunto di cosa è cambiato dopo i fatti di Catania)

Bene, ormai sono passate due settimane dai fatti di Catania e possiamo elaborare con una dignitosa prospettiva le loro conseguenze. Diciamo subito, così per non confondersi, che l'Italia si conferma una Repubblica delle Banane, dedita al trasformismo (ah, il caro vecchio Giolitti…) e all'emergenzialismo becero, giustizialista e ipocrita.

I fatti di Catania hanno scatenato l'inferno solo perché a rimanere ucciso è un rappresentante delle forze dell'ordine. Ben riassume questo punto di vista uno striscione doriano ieri: "I morti meritano tutti rispetto, anche quelli che vi dimenticate". Come di consueto in queste situazioni diventa tabù cercare di parlare del problema indipendentemente dai fatti. In tutto il marasma, il più ignobile dei personaggi del calcio italiano, Antonio Matarrese, è l'unico che getta a terra la maschera dell'ipocrisia, rivelando un ammirabile cinismo: "Lo spettacolo deve continuare". Ed è proprio questo che succederà.

Di fatto le conseguenze legislative dei fatti di Catania sono un decreto legge in alcuni passaggi palesemente incostituzionale (in quanto istituisce non solo un generico reato di opinione, ma anche pene comminate sulla base del sospetto, cosa palesemente contraria all'ordinamento giuridico per come lo conosciamo). Il dibattito politico riabilita la legge Pisanu che tutti avevano criticato, e che in assenza di idee migliori diventa magicamente un toccasana: stranezze delle mutazioni nelle opinioni politiche. 

 

Continue reading “La politica è mobile qual piuma al vento (riassunto di cosa è cambiato dopo i fatti di Catania)”

Quanta retorica, quanta ipocrisia per dire: repressione, repressione, ordine, severità

''' da liberazione del 06.02.07''' 

Quanta retorica, quanta ipocrisia per dire: repressione, repressione, ordine, severità
di Massimo Ilardi
 
Condannare la violenza è giusto, ma condannarla con argomenti che fanno rabbrividire la ragione vuol dire esercitare la stessa violenza che è esplosa sulle strade di Catania.
 
 

Continue reading “Quanta retorica, quanta ipocrisia per dire: repressione, repressione, ordine, severità”