La prima all’olimpico nell’era della TdT

Domenica mi avvicino per la prima volta allo stadio dopo l’avvento della TdT. Arrivo di buonora, col mio socio che mi aspettava con le due tribune in mano che aveva rimediato gratis. Fino all’anno scorso non avevamo mai attinto a questa risorsa di cui dispone: eravamo tifosi di curva e là andavamo, nonostante pagassimo per non vederla.
Da quest’anno no. Non siamo più abbonati a causa di questa tessera/cartadicredito e dunque qualche volta ce ne andremo in tribuna per risparmiare qualche soldo ma sopratutto per non darli alla nostra infame società. Continue reading “La prima all’olimpico nell’era della TdT”

Demagogia familiare

Strano paese l’Italia. Ogni riforma vede al centro “la famiglia”, dalla scuola allo stadio passando per il lavoro, il welfare, etc etc.
Uno dei motivi dell’introduzione della fantastica Carta di Credito ops Tessera del Tifoso è lo slogan “RIPORTARE LE FAMIGLIE ALLO STADIO”.
Essì perché a causa di quegli zozzoni e cattivoni degli ultras/tifosi di curva, le famiglie sono terrorizzate dal portare i bambini allo stadio.
Ma siamo sicuri che non che è tutta colpa dei “violenti”? Sicuri sicuri che ad esempio impianti inadeguati, biglietti nominali, assenza dei botteghini allo stadio e CARO PREZZI non c’entrano niente?
Lo sapete quanto costa per una famiglia andare allo stadio?
Ma poi qual è la famiglia? Trattandosi di calcio, un padre più un figlio, visto che le donne NON amano il pallone? Continue reading “Demagogia familiare”

[repost] Fatah Verona

 

Ripubblico da iostoconmancini, un pezzo di Stefano Massaron chiaro e lucido su come funzionano (in piccolo, ma di sicuro) le curve di tutta Italia (e non solo le curve mi sa)

 

E’ bello, in questo momento,
essere sia interisti che veronesi – di origine e di famiglia paterna,
anche se non di nascita. E’ bello perché così si può parlare di tante
cose senza destare sospetto alcuno.

La prima è una verità inconfutabile, e sfido chiunque a confutarla: i veronesi sono razzisti.
Lo sono sempre stati e continueranno ad esserlo, perché ce l’hanno nel
sangue, ribollito dal sole che devasta le campagne piatte da giugno a
ottobre e inacidito dai nugoli di zanzare che se ne cibano senza sosta
in un perenne ronzio che, se non ci sei abituato, ti fa uscire di
matto.

Erano razzisti i miei prozii e
i miei zii, che facevano i contadini a pochi chilometri dalla Fatal
Verona (sempre sia lodata l’Hellas per quell’indimenticato 5-3 che
rifilò al Milan togliendogli la prima stella di sotto il naso), lo
erano i loro amici, lo erano le loro mogli, lo sono i loro nipoti.
Ricordo benissimo il disprezzo con cui i contadini di Rovigo (prego
controllare sulla cartina le relative coordinate geografiche) venivano
chiamati "Quei de zò" – "Quelli di giù" – e l’odio che veniva dedicato a chiunque fosse teròne; la semplice violenza verbale della parola Terònia
per identificare tutto ciò che fosse al di sotto di Roma e il fastidio
con cui venivano trattati e sopportati quei pochissimi emigrati
meridionali che osavano fare i braccianti nei campi spaccati dal sole.

Siccome sono vecchio, erano altri tempi, e il razzismo innato in ogni veronese si concentrava su di loro, i teròni,
ma non è che ci voglia una laurea in fisica nucleare per immaginare
che, nell’unica città in cui Forza Nuova ha dei legittimi
rappresentanti in consiglio comunale, ora quello stesso odio si sia
esteso (non spostato, badate bene, ho detto soltanto esteso) agli immigrati e agli extracomunitari in genere.

Figuriamoci poi quando si parla di negri.

Italiani? Ma non scherziamo: per il veronese DOC, non è italiano nemmeno uno nato a Latina, figuriamoci un nero.

Non scherziamo, Campedelli, éto capìo? ["Hai capito?" – NdA]

E, già che ci siamo, un bel "non scherziamo" anche a Di Carlo e, vieppiù, all’integerrimo integralista sindaco Tosi.

Funziona così, ormai: tentano
di prenderci per il culo, ma non ci riescono. E’ il destino cinico e
baro che gioca a loro sfavore: una volta sono i numeri diramati dalla
stessa SKY, un’altra volta – ahiloro – uno dei collaboratori di questo
blog ha passato a Verona e nel veronese gran parte della sua infanzia e
ha lì qualcosa tipo centosettantuno parenti ancora in vita.

Uno dei quali mi son preso la briga di consultare.
Siamo cugini alla lontana, tipo quarto o quinto grado, e nonostante il
disprezzo reciproco che ci slega, sono riuscito a farlo parlare.

Patto: non essere nominato.
Cosa che mi trova più che d’accordo, perché, francamente, mi vergogno.
Non abbiamo lo stesso cognome, ma magari qualcuno poi ci associa. Vurìa mai.

Mi dispiace di arrivare un poco
fuori tempo con questo pezzo, ma ci tenevo. Ci ho messo qualche giorno
a contattarlo, perché anche su Facebook non è che mi faccio vedere
molto, ma lo ricordavo come esponente di spicco di quella che, assieme
alle omologhe di Inter e Lazio, è la curva più razzista ed estremista –
di destra – d’Italia: gli ultras dell’Hellas Verona.

Già – e con questo termino la mia premessa – perché il vero veronese tifa Hellas, non Chievo.
Mio zio, nell’Ottantacinque, ha lasciato libere le vacche dopo l’ultima
giornata di campionato. E il Chievo, da me odiato un po’ per motivi
familiari (Hellas, come già spiegato) e in parte per la schifosa
retorica da Pandoro che ne ha accompagnato la "favola" fin da quando
sono arrivati in serie A, è una squadra che proprio detesto con tutto
me stesso.

Ma veniamo a Mister X.

Lo contatto su Facebook, acconsente a sentirci per telefono.

Ci salutiamo con notevole imbarazzo.

[Di seguito qualche stralcio, ricavato dagli appunti che ho preso frettolosamente.]

Io: Ti ricordi di me?

Lui: Non molto, ma mi vedo sempre con tuo cugino.

Io: Quale?

Lui: [Nome e Cognome], capito?

Io: Sì, certo.

[…]

Io: Senti, ma ci vai ancora allo stadio?

Lui: Certo. Sempre, ci andiamo sempre.

Io: Serie C1?

Lui: Non scherzare, mona. Andiamo al Cèo [Chievo – NdA]. La serie A."

Io: "Ma non lo odiavate?"

Lui: "Sì, ma stacci tu in serie C. E poi i sempre de Veròna."

Io: "Quindi ora siete tutti lì?"

Lui: "Sì. Tuti. Xémo tuti al Cèo."

Io: "Spiegami ‘sta cosa dei cori razzisti contro Balotelli."

Lui: "Xè negro."

Io: "Fantastico. Dai, sul serio. L’hai vista la mia pagina di Facebook, allora?"

Lui: "Sì, ti xè un comunista de merda."

Io: "Esatto."

Lui: "Lo sai che mi son de Forza Nuova, vera?"

Io: "Sì, immaginavo."

[Altri vari convenevoli.]

Io: "Mi spieghi come funziona?" [Il reclutamento allo stadio – NdA]

Lui: "E’ lì che facciamo
politica. Andiamo in massa, cioè, molti di noi si conoscono già, ovvio,
e ci andiamo insieme, tutti insieme, e lì parliamo con i ragazzini."

Io: "Cosa gli dite?"

Lui: "Non c’è molto da dire. Qui sèmo tuti incazzati per ‘sti negri, sai. Che ormai son dapertuto. I butéianca lori. Li invitiamo alle nostre riunioni, e un po’ ci vengono." [Bambini – NdA] son già incazzati

Io: "E poi tornate insieme allo stadio?"

Lui: "Certo, è allo stadio che ci divertiamo."

Io: "Con i cori razzisti, i volantini eccetera?"

Lui: "Sì. Ma dimmi, te la pubblichi, ‘sta roba?"

Io: "Sì."

Lui: "Non fare il mio nome."

Io: "Okay. Non ci penso nemmeno, sta’ tranquillo."

[…]

Io: "Quindi il reclutamento avviene allo stadio e fuori, ma comunque è allo stadio che vi sfogate, giusto?"

Lui: "No. Facciamo sfogare loro, i ragazzi. A me non serve."

Io: "E Balotelli?"

Lui: "E’ negro. E vuole essere italiano. E’ ovvio che se la prendono con lui."

Io: "Perché non sta zitto e buono?"

Lui: "Vàrda, è la stessa cosa. Che sta zitto o che parla, non cambia un casso."

Io: "E Luciano? Quello è dei vostri."

Lui: "Sì, ma è l’unico. Non ci piace, ma lo lasciamo in pace. I ragazzini odiano anche lui."

Io: "Anche lui?"

Lui: "Certo. Sperémo che non ne vengono altri."

[…]

Io: "E i tifosi del Chievo? Quelli di una volta? Dove sono?"

Lui: "In un posticino, in basso, son quatro gati."

Io: "Che rapporti avete con loro?"

Lui: "Tolleranza. Non ci rompono le balle, noi non le rompiamo a loro."

Io: "Quindi tutta la curva dell’Hellas segue il Chievo, adesso?"

Lui: "Non tutta. Ma tanti sì. Hai visto quanti siamo? All’inizio erano in venti." [Ride.]

Io: "Quindi i cori razzisti ci sono stati."

Lui: "Ma sì." [Ride.]

Io: "E il tuo partito cosa dice?"

Lui: "In che senso?"

Io: "Approva oppure no?"

Lui: "Approva, approva. Non ufficialmente, ma approva." [Ride ancora.]

[Altre cose poco significative.]

Che dire, fratelli nerazzurri?

Non aggiungo altro. So che questa volta non sono riuscito a farvi ridere, ma qui, da ridere, non c’è proprio niente.

Delle esternazioni sacrosante
di Mario Balotelli dopo la partita e dei vergognosi commenti di Mario
Sconcerti in primis e del discutibile sindaco Tosi poi hanno già
parlato Simone e altri, inutile che lo faccia io: ho voluto darvi –
anche se in ritardo, ma non è dipeso da me – il punto di vista di un tifoso dell’Hellas trapiantato al Chievo.

Mi viene in mente soltanto una
frase, prima di chiudere: Campedelli dovrebbe veramente pensare
all’impasto dei Pandori, e pensarci benissimo e non pensare a
nient’altro, prima di parlare del suochi sono e cosa fanno quelli che hanno occupato la sua Curva delle Favole.
pubblico. Perché Campedelli sa meglio di noi

Premio Fair Play.

Sì, come no.

STEFANO MASSARON 

 

[Repost] Maroni e la tessera contro i tifosi. Per bene.

 

[questa della "tessera del tifoso" e’ una tale porcata fascistoide che ha smosso l’intestino pure a gianni mura, che non ha mai mostrato particolare simpatia verso ultras e tifoserie piu’ o meno "calde"…]

Occuparsi di sport, di calcio in particolare, ha i suoi lati positivi. Per esempio, potrei rivolgermi al ministro Maroni a proposito della sua direttiva sulle trasferte dei tifosi ignorando altre e più drammatiche trasferte sul Canale di Sicilia. Potrei ma non posso. Solo due considerazioni. E’ ben strano l´atteggiamento di molti leghisti. Si propongono come i più accaniti difensori dei valori dell´Occidente cristiano e appena qualche vescovo o qualche prete dice qualcosa che non gli torna lo mandano brutalmente a scopare il mare (è un modo dire milanese, va inteso come ramazzare l´oceano e, in greco, farebbe parte degli adùnata). Poi (prima regola: negare comunque, o almeno mettere in dubbio) è piuttosto atroce il loro far di conto. I 5 vivi dicono che erano in 73, morti recuperati 14 (vado a memoria). E fanno 19, dove sono gli altri 54? Come se il mare fosse un bancomat, una cassetta di sicurezza, ancora un po’ e gli si chiede la ricevuta. Ma si sa che i conti devono tornare (a casa loro anche loro, così imparano).

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Ultimo modello di tifoso: il razzista azzurro

 

Riportiamo, tanto per far vivere ogni tanto il sito, e a dispetto degli altri soci che parlano parlano ma alla fine non fanno una mazza, un articolo da un sito di tifosi interisti, ma che mette in luce un fenomeno orribile di cui siamo stati testimoni in svariati forum di tifosi: l’emergere di un razzismo per nulla velato che si riassume nella frase "non esiste un negro italiano". Ci spiace per tutti i nazistoidi in giro per gli stadi e per i loro soci qualunquisti, esiste, ed è fortissimo.

scritto da watergate
venerdì, 05 settembre 2008
alle 09:52

   La
galleria dei pagliacci da circo mascherati da tifosi di calcio è ricca
e variopinta come un museo di storia naturale, ma l’ultimo esemplare
arrivato e messo in mostra suscita più ribrezzo di un singolo dance di
Gigi D’Alessio. Non che non ci siamo abituati, beninteso. Una
delle peggiori eredità di Calciopoli è lo juventino incazzato col
mondo, che pensa di essere vittima di un complotto planetario ordito da
una personalità che prima giudicava demente e adesso reputa capace
delle peggiori diavolerie.
Non starò a rovinarvi il fegato con
della bassa sociologia. Gli juventini hanno sempre rubato e lo sanno
bene. Vivono questo dramma interiore scaricando le colpe sugli altri,
nonostante abbiano commesso le peggiori ruberie della storia dello
sport. Ora, aggiungete a questa già preoccupante paranoia un pizzico di
xenofobia, del sano orgoglio razzista e troverete pronto il nuovo
orrido esemplare che da tempo urla negli stadi e scaccola nei forum dei
principali siti italiani al grido di "Non Esiste Un Negro Italiano",
già sentito durante il Trofeo Tim. L’anti-interista razzistoide che non
vuole Balotelli in quanto nero e figlio di genitori ghanesi.

   La storia di Balotelli è da copertina, meravigliosa, indice di
quella integrazione che – a parer mio – arricchisce un popolo. Io ho le
mie idee politiche ma so per certo che uno dei migliori modi per
progredire è integrarsi, al di là delle naturali esigenze di sicurezza
che possiamo desiderare in un dato momento storico (e in particolari
condizioni… non entro nel merito della polemica politica, non è la
sede). Tuttavia, a Mario Balotelli alcuni tifosi anti-interisti (e
saranno sempre di più dato che l’ignoranza impregna più della saggezza)
vorrebbero impedire, da italiano come loro, di vestire la casacca della
Nazionale. Ecco alcuni commenti fatti passare dalla moderazione del sito della Gazzetta dello Sport.

Badboy83 (milanista e sardo come me): "Sei fortissimo ma non basta avere il cognome italiano per la maglia azzurra… sei ghanese onora quella maglia". Member 189076 (sembrerebbe di Arcore) ci pensa su e dichiara: non credo sia giusto portarlo in Nazionale.
Un tizio chiamato Bergarich ci va duro con lo stereotipo del calciatore
africano, mettendo in dubbio l’età di SuperMario (registrato
all’anagrafe di Palermo!):  "Credo che dovrebbero studiare il
fisico di questo calciatore. Non ho mai visto un calciatore con quel
fisico a 17 anni. Secondo me ha quasi 30 anni
". L’aggravante di proporre la cura in stile T4 non è niente male. Il Fenomeno27 ha paura del melting-pot, rispolverando un vecchio refrain caro a Le Pen: "Tra poco l’Italia assomiglierà alla Francia, che delusione!". E così via. Gente decerebrata che dice "purtroppo ci toccherà vederlo in Nazionale" si trova anche qui, altrove si fa ancora ricorso al colore della pelle per determinare la nazionalità. Qui pure c’è tanta spazzatura. Qua siamo al delirio. Siccome tutto il mondo è paese ne accomuna più la stupidità che l’intelligenza: non mancano i tifosi interisti "contrari" a SuperMario.

   Ecco, se c’è un segnale che la scuola italiana ha completamente
fallito il proprio obiettivo, negli ultimi 25 anni, è questo: degli
stupidi sgrammaticati che scrivono cose indicibili degne di peggior
causa.

da bauscia.splinder.com

Via i tifosi dagli stadi

 

Fenomeno curioso il calcio all’italiana: ogni tragedia diventa una scusa per un malcelato tentativo di peggiorare la situazione oppure per fare soldi. In altri tempi si sarebbe chiamato cinico opportunismo, mentre nel terzo millennio si chiama senso della cosa pubblica, in maniera a dire il vero piuttosto eufemistica. Quest’anno nella dodicesima giornata di andata e di ritorno (e poi si dice che sia il tredici a portare sfiga…) due tragedie hanno segnato il campionato di calcio italiano: all’andata in un autogrill un tifoso laziale viene ucciso dal proiettile sparato da un agente ad alzo zero, aizzato dall’isteria anti-ultrà e dalla sensazione diffusa tra gli operatori che contro i reati da stadio valga tutto e tutto venga giustificato dagli esperti del settore di fronte a opinione pubblica e politica; al ritorno in un autogrill un mezzo battibecco tra tifosi (al meglio) scatena il panico dell’autista di un autobus di tifosi bianconeri che investe (passandoci sopra con entrambi i treni di ruote) un tifoso del Parma. In entrambi i casi la risposta è: vietiamo le trasferte. Non importa se nel primo caso andrebbe vietato l’uso delle armi alle forze dell’ordine, o almeno garantito che i loro crimini venissero perseguiti con la stessa determinazione e pubblicità di quelli di altri settore della società italiana, e che nel secondo caso andrebbero incriminati per concorso morale i direttori delle principali testate giornalistiche e televisive italiane per l’isteria creata. Importa solo che si dia l’impressione di avere qualcosa da dire. Mentre a noi, che conoscevamo Matteo e non conoscevamo Gabriele, viene solo da rimanere in silenzio di fronte a morti assurde ed evitabili. 

Il vero problema è che nessuno ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di ammettere che il problema non sono le persone morte, ma la necessità del calcio di essere un bel business esente da imprevisti, degli stadi pieni sì, ma di marionette disposte ad applaudire tenuamente quando si segna un gol. Tanto i soldi arrivano dalla vendita di magliette di R9 e R10, e dai diritti televisivi. La miopia di questo ragionamento stupisce solo chi ci va allo stadio e chi le partite ama guardarle: senza calore umano, senza passione, non c’è calcio, ma solo un film (bello è tutto da vedere). Ma in Italia come al solito sarà troppo tardi quando qualcuno con un minimo di buon senso deciderà di prendere la parola. Tanto per ragionare a modo loro, basterebbe guardare nella tanto osannata Inghilterra: a parte il fatto che in Gran Bretagna si è intervenuti dopo tragedie immani individuandone le origini e proponendo soluzioni ai problemi specifici, non si è mai pensato che si dovesse avere uno stadio silenzioso ed ordinatamente noioso. Il problema in Inghilterra fu individuato nella fatiscenza degli impianti e nella scarsa possibilità di controllo: gli stadi furono rifatti da zero, e si implementò una rigida politica di controllo e prevenzione. Questo ha spostato gli scontri fuori dagli stadi, ma gli inglesi hanno deciso che stava loro bene di muovere il problema dallo sport alla criminalità ordinaria. E’ stata una scelta. In Italia non vediamo nessun intervento sugli impianti, strutture inadeguate, in cui tutti a cominciare dal presidente della Lega hanno mangiato miliardi del vecchio conio, sperando di mangiare ancora di più grazie all’Europeo 2012, fortunatamente sfumato dalle mani dei peggiori speculatori del Paese. In Italia non vediamo nessun intervento che cerchi di risolvere il problema del controllo negli stadi, ma solo la voglia di garantire alle forze dell’ordine maggiore agibilità nell’uso della forza (a caso di solito). In Italia vediamo tv e giornali che alimentano l’isteria ogni giorno, per vendere una inserzione in più, senza preoccuparsi di quanto quello che dicono produce nel popolo bue italico. 

L’unica soluzione a tutto questo è un po’ di buon senso, la misura di ciò che avviene nel mondo reale, lontano dai palchi e dai palcoscenici e dalle telecamere, e molto senso di responsabilità. Unito a un amore spassionato per il gioco del calcio e per tutto quello che rappresenta. Nessuno di quelli che sta in cima alla piramide che decide di questo sport gode di nessuna di queste caratteristiche: troppo chiusi nei propri palazzi per capire la realtà, troppo chiusi nei propri affari per capire il termine "buon senso", troppo moderni per capire il senso della parola responsabilità. Tanto paga sempre qualcun altro. Con la vita.

Newscientist: il tifo non ha effetto sulle vittorie in casa

 

Questo articolo è apparso sul sito di Newscientist. Devo dire che la ricerca (e la sua base scientifica) non mi convince molto, ma è utile per dare argomenti a chi vuole gli stadi sempre più vuoti (tanto è tutto uguale no?) e i palinsesti sempre più pieni. Sarà anche assurdo scientificamente attribuire un ruolo al tifo, ma il calcio alle volte è irrazionale passione. Sennò che gusto c’è?

I tifosi allo stadio non hanno effetto sulle vittorie in casa

Alcuni stadi hanno un effetto maggiore sul determinare le vittorie sportive in casa? Sembra di no, almeno nel calcio.

Molti sostengono che un tifo scatenato o stadi gremiti portano alcune squadre ad avere un vantaggio maggiore quando giocano in casa di altre con supporter meno indemoniat o impianti più piccoli. Andreas Heuer e Oliver Rubner dell’università di Münster in Germania hanno analizzato 12.000 incontri della Bundesliga tra il 1965 e il 2007. La differenza reti è stata usata come valutazione della resa della squadra, al posto delle vittorie dato che è chiaro che la prima dia una misura più precisa del vantaggio, dice Rubner.

Heuer e Rubner hanno confermato il fatto che le square in casa hanno un vantaggio sulle squadre che giocano in trasferta: la squadra di casa infatti segna 0.7 gol in più a partita della squadra ospite. Purtroppo però non hanno trovato una squadra che fosse migliore di altre in casa (www.arxiv.org/0803.0614).

Nonostante alcune squadra appaiano particolarmente forti nel loro stadio, questa supposizione è spesso basata da vittorie conseguite in un numero limitato di partite, scrive Rubner. Ogni  vantaggio del giocare in casa è scomparso nel momento in cui abbiamo esteso l’analisi a un numero infinito di partite. Questo fenomeno è analogo a quello di quando si nota una moneta cadere su una faccia più che su un’altra entro un certo numero di lanci. "Atrribuireste questo fenomeno all’effetto psicologico della persona che lancia la moneta?", si chiede Rubner.

Storie Minori

Anche nel calcio e nelle sue derive sociali, esiste la storia ufficiale, di televisioni e giornali mainstream, e quella minore, spesso meno aulica, ma sempre più schietta e intrigante. Le vicende di Calciopoli e la recente emergenza ultrà, sono due esempi piuttosto lampanti circa il modo di proporre visioni del mondo che passano, infine, come le versioni definitive della nostra storia. Su Calciopoli si è proceduto in modo schiettamente italiano: dapprima titoloni e grida di scandalo, poi, piano piano, tutto rientrato, trafiletti da leggere con la lente di ingrandimento. La magagna è scoppiata, si è dato fiato alle trombe, si è identificato il Grande Male (Moggi) poi è arrivato il momento di voltare pagina e fine. Così gli stessi eventi possono essere letti in più modi, specie ricordando episodi che, pur nella corale denuncia, sono stati sapientemente oscurati. Perché va bene dire che nel calcio c’era un cancro, meno bene è fare il disturbatore anti sistema, continuare a ciurlare nel manico dei mali del calcio, quando c’è un campionato (noioso) da rendere appetibile per pay tv e carrozzone.

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Vita da steward lombrosiani

Negli stadi italiani oltre i 7500 posti l’obbligo di avere cittadini in
pettorina gialla addestrati a controllare i tifosi. Ecco come li hanno
preparati
Roberto Anchini mostra tutti i documenti, le schede di valutazione, il
materiale sulla scrivania, sparse nel piccolo ufficio. Bisogna fare in
fretta e bene, perché ci sono delle regole, dei controlli, ispezioni. E
naturalmente soldi che ballano, professionalità da rispettare e ritorno
mediatico da attendere.

Dal 1 marzo anche lo stadio di Genova, come tutti gli stadi italiani la
cui capienza supera i 7500 posti, dovrà attrezzarsi con gli steward di
ordinanza. Anchini, attraverso la cooperativa Atform, ne cura la
formazione. Conosce a memoria il decreto dell’8 agosto 2007, è andato a
Coverciano a seguire gli incontri preparatori, si è, a suo modo,
industriato per superare alcuni punti oscuri e domande cui trovare
risposte. Come, ad esempio, assicurarsi che un candidato steward possa
dimostrare la propria estraneità all’uso di droghe, alcool, a sintomi
daltonici, elementi psicopatologici, in poco e rapido tempo?
Certificato del medico curante: è ok anche per l’Osservatorio.
Omologato. Nella sede della cooperativa sono in corso le lezioni che
servono a fare crescere bravi e responsabili steward. E’ la prima parte
della preparazione: la teoria. Due classi da 25 persone l’una, età che
varia dai 21 anni ai 55: corso psicologico, giuridico, primo intervento
sanitario e ordine pubblico. Quest’ultimo risulta il più interessante:
capire come un funzionario di polizia spiega ai futuri steward le
caratteristiche del decreto, insieme alle valutazioni sull’ordine
pubblico allo stadio da parte di chi lo gestisce da tempo immemore. A
Genova uno degli insegnanti è Carlo Di Sarro, vicequestore vicario
della questura ligure. Imputato al processo Diaz per essere uno dei
firmatari dei verbali (considerati falsi dalla procura) di arresto e
perquisizione della «macelleria messicana» del 20 luglio 2001, il suo
nome è presente anche nelle recenti intercettazioni che tirano in ballo
De Gennaro e Manganelli. Con Di Sarro si può solo scambiare qualche
rapida battuta: una telefonata al capo di gabinetto della questura di
Genova, Sebastiano Salvo e la lezione, improvvisamente, diventa a porte
chiuse. A nessuno, sicuramente ad alcuni, è permesso di ascoltarla. Un
inizio un po’ così in quella che dovrebbe essere una nuova fase di
trasparenza e buon senso nella gestione degli stadi, proprio nel
momento in cui a controllare i cittadini, saranno altri cittadini e non
pubblici ufficiali.

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