Ripubblico da iostoconmancini, un pezzo di Stefano Massaron chiaro e lucido su come funzionano (in piccolo, ma di sicuro) le curve di tutta Italia (e non solo le curve mi sa)
E’ bello, in questo momento,
essere sia interisti che veronesi – di origine e di famiglia paterna,
anche se non di nascita. E’ bello perché così si può parlare di tante
cose senza destare sospetto alcuno.
La prima è una verità inconfutabile, e sfido chiunque a confutarla: i veronesi sono razzisti.
Lo sono sempre stati e continueranno ad esserlo, perché ce l’hanno nel
sangue, ribollito dal sole che devasta le campagne piatte da giugno a
ottobre e inacidito dai nugoli di zanzare che se ne cibano senza sosta
in un perenne ronzio che, se non ci sei abituato, ti fa uscire di
matto.
Erano razzisti i miei prozii e
i miei zii, che facevano i contadini a pochi chilometri dalla Fatal
Verona (sempre sia lodata l’Hellas per quell’indimenticato 5-3 che
rifilò al Milan togliendogli la prima stella di sotto il naso), lo
erano i loro amici, lo erano le loro mogli, lo sono i loro nipoti.
Ricordo benissimo il disprezzo con cui i contadini di Rovigo (prego
controllare sulla cartina le relative coordinate geografiche) venivano
chiamati "Quei de zò" – "Quelli di giù" – e l’odio che veniva dedicato a chiunque fosse teròne; la semplice violenza verbale della parola Terònia
per identificare tutto ciò che fosse al di sotto di Roma e il fastidio
con cui venivano trattati e sopportati quei pochissimi emigrati
meridionali che osavano fare i braccianti nei campi spaccati dal sole.
Siccome sono vecchio, erano altri tempi, e il razzismo innato in ogni veronese si concentrava su di loro, i teròni,
ma non è che ci voglia una laurea in fisica nucleare per immaginare
che, nell’unica città in cui Forza Nuova ha dei legittimi
rappresentanti in consiglio comunale, ora quello stesso odio si sia
esteso (non spostato, badate bene, ho detto soltanto esteso) agli immigrati e agli extracomunitari in genere.
Figuriamoci poi quando si parla di negri.
Italiani? Ma non scherziamo: per il veronese DOC, non è italiano nemmeno uno nato a Latina, figuriamoci un nero.
Non scherziamo, Campedelli, éto capìo? ["Hai capito?" – NdA]
E, già che ci siamo, un bel "non scherziamo" anche a Di Carlo e, vieppiù, all’integerrimo integralista sindaco Tosi.
Funziona così, ormai: tentano
di prenderci per il culo, ma non ci riescono. E’ il destino cinico e
baro che gioca a loro sfavore: una volta sono i numeri diramati dalla
stessa SKY, un’altra volta – ahiloro – uno dei collaboratori di questo
blog ha passato a Verona e nel veronese gran parte della sua infanzia e
ha lì qualcosa tipo centosettantuno parenti ancora in vita.
Uno dei quali mi son preso la briga di consultare.
Siamo cugini alla lontana, tipo quarto o quinto grado, e nonostante il
disprezzo reciproco che ci slega, sono riuscito a farlo parlare.
Patto: non essere nominato.
Cosa che mi trova più che d’accordo, perché, francamente, mi vergogno.
Non abbiamo lo stesso cognome, ma magari qualcuno poi ci associa. Vurìa mai.
Mi dispiace di arrivare un poco
fuori tempo con questo pezzo, ma ci tenevo. Ci ho messo qualche giorno
a contattarlo, perché anche su Facebook non è che mi faccio vedere
molto, ma lo ricordavo come esponente di spicco di quella che, assieme
alle omologhe di Inter e Lazio, è la curva più razzista ed estremista –
di destra – d’Italia: gli ultras dell’Hellas Verona.
Già – e con questo termino la mia premessa – perché il vero veronese tifa Hellas, non Chievo.
Mio zio, nell’Ottantacinque, ha lasciato libere le vacche dopo l’ultima
giornata di campionato. E il Chievo, da me odiato un po’ per motivi
familiari (Hellas, come già spiegato) e in parte per la schifosa
retorica da Pandoro che ne ha accompagnato la "favola" fin da quando
sono arrivati in serie A, è una squadra che proprio detesto con tutto
me stesso.
Ma veniamo a Mister X.
Lo contatto su Facebook, acconsente a sentirci per telefono.
Ci salutiamo con notevole imbarazzo.
[Di seguito qualche stralcio, ricavato dagli appunti che ho preso frettolosamente.]
Io: Ti ricordi di me?
Lui: Non molto, ma mi vedo sempre con tuo cugino.
Io: Quale?
Lui: [Nome e Cognome], capito?
Io: Sì, certo.
[…]
Io: Senti, ma ci vai ancora allo stadio?
Lui: Certo. Sempre, ci andiamo sempre.
Io: Serie C1?
Lui: Non scherzare, mona. Andiamo al Cèo [Chievo – NdA]. La serie A."
Io: "Ma non lo odiavate?"
Lui: "Sì, ma stacci tu in serie C. E poi i xè sempre de Veròna."
Io: "Quindi ora siete tutti lì?"
Lui: "Sì. Tuti. Xémo tuti al Cèo."
Io: "Spiegami ‘sta cosa dei cori razzisti contro Balotelli."
Lui: "Xè negro."
Io: "Fantastico. Dai, sul serio. L’hai vista la mia pagina di Facebook, allora?"
Lui: "Sì, ti xè un comunista de merda."
Io: "Esatto."
Lui: "Lo sai che mi son de Forza Nuova, vera?"
Io: "Sì, immaginavo."
[Altri vari convenevoli.]
Io: "Mi spieghi come funziona?" [Il reclutamento allo stadio – NdA]
Lui: "E’ lì che facciamo
politica. Andiamo in massa, cioè, molti di noi si conoscono già, ovvio,
e ci andiamo insieme, tutti insieme, e lì parliamo con i ragazzini."
Io: "Cosa gli dite?"
Lui: "Non c’è molto da dire. Qui sèmo tuti incazzati per ‘sti negri, sai. Che ormai son dapertuto. I butéianca lori. Li invitiamo alle nostre riunioni, e un po’ ci vengono." [Bambini – NdA] son già incazzati
Io: "E poi tornate insieme allo stadio?"
Lui: "Certo, è allo stadio che ci divertiamo."
Io: "Con i cori razzisti, i volantini eccetera?"
Lui: "Sì. Ma dimmi, te la pubblichi, ‘sta roba?"
Io: "Sì."
Lui: "Non fare il mio nome."
Io: "Okay. Non ci penso nemmeno, sta’ tranquillo."
[…]
Io: "Quindi il reclutamento avviene allo stadio e fuori, ma comunque è allo stadio che vi sfogate, giusto?"
Lui: "No. Facciamo sfogare loro, i ragazzi. A me non serve."
Io: "E Balotelli?"
Lui: "E’ negro. E vuole essere italiano. E’ ovvio che se la prendono con lui."
Io: "Perché non sta zitto e buono?"
Lui: "Vàrda, è la stessa cosa. Che sta zitto o che parla, non cambia un casso."
Io: "E Luciano? Quello è dei vostri."
Lui: "Sì, ma è l’unico. Non ci piace, ma lo lasciamo in pace. I ragazzini odiano anche lui."
Io: "Anche lui?"
Lui: "Certo. Sperémo che non ne vengono altri."
[…]
Io: "E i tifosi del Chievo? Quelli di una volta? Dove sono?"
Lui: "In un posticino, in basso, son quatro gati."
Io: "Che rapporti avete con loro?"
Lui: "Tolleranza. Non ci rompono le balle, noi non le rompiamo a loro."
Io: "Quindi tutta la curva dell’Hellas segue il Chievo, adesso?"
Lui: "Non tutta. Ma tanti sì. Hai visto quanti siamo? All’inizio erano in venti." [Ride.]
Io: "Quindi i cori razzisti ci sono stati."
Lui: "Ma sì." [Ride.]
Io: "E il tuo partito cosa dice?"
Lui: "In che senso?"
Io: "Approva oppure no?"
Lui: "Approva, approva. Non ufficialmente, ma approva." [Ride ancora.]
[Altre cose poco significative.]
Che dire, fratelli nerazzurri?
Non aggiungo altro. So che questa volta non sono riuscito a farvi ridere, ma qui, da ridere, non c’è proprio niente.
Delle esternazioni sacrosante
di Mario Balotelli dopo la partita e dei vergognosi commenti di Mario
Sconcerti in primis e del discutibile sindaco Tosi poi hanno già
parlato Simone e altri, inutile che lo faccia io: ho voluto darvi –
anche se in ritardo, ma non è dipeso da me – il punto di vista di un tifoso dell’Hellas trapiantato al Chievo.
Mi viene in mente soltanto una
frase, prima di chiudere: Campedelli dovrebbe veramente pensare
all’impasto dei Pandori, e pensarci benissimo e non pensare a
nient’altro, prima di parlare del suochi sono e cosa fanno quelli che hanno occupato la sua Curva delle Favole. pubblico. Perché Campedelli sa meglio di noi
Premio Fair Play.
Sì, come no.
STEFANO MASSARON