Un uomo decisamente basso

“Basso è pentito e vuole collaborare”, “Birillo sono io”, “Basso ammette le sue colpe”… e via di seguito, sono un piccolissimo campionario delle centinaia di titoloni e parole sprecate sulla vicenda Basso negli ultimi giorni.

Un corridore di primissimo piano, dominatore del Giro 2006 e sul podio dei Tour 2004 e 2005, da quasi un anno coinvolto in uno scandalo doping, decide di ammettere le sue colpe… di più, decide di raccontare tutto all’ufficio indagini, per smascherare un sistema criminoso altamente organizzato. Questa è la lacunosa sintesi della vicenda. Ma, come tutte le vicende che riguardano il ciclismo, ancor più quando di mezzo ci sono farmaci, medici, sangue e “maneggioni” la vicenda è ben più elaborata. E soltanto una piccolissima frazione dei suoi dettagli giungerà agli occhi e alle orecchie dei tifosi, ed arriverà dalle indagini in corso da un anno, non certo dalla pagliacciata del pentimento-show di Ivan Basso.

Basso, dunque, perchè è lui oggi il centro della vicenda. Il suo pentimento tanto vale lasciarlo perdere, talmente è parziale e tardivo: quello che i tromboni federali (e, ahimè, anche qualche commentatore) definiscono un “gesto di coraggio” altro non è che l’ultima scappatoia per un ragazzo vistosi messo tremendamente alle strette. L’udienza del 2 maggio ha mostrato a Basso come in procura ci fossero tutte le carte per acclarare il suo coinvolgimento a fondo nella vicenda: DNA, SMS, MMS, FAX ed ogni altro genere di sigle compresi… La scelta, la non-scelta, stava a lui ed era molto semplice: sfoderare la faccia di culo definitiva recitando un mea culpa orgoglioso, oppure cadere sotto lo sputtanamento mediatico e legislativo. Parliamo ancora di pentimento? Pietà…

 

Il dato di fatto è che Basso ci ha preso per il culo per un anno: lui e i suoi avvocati si sono arrampicati sugli specchi con strategie difensive che dire grottesche è dir poco. Come definire altrimenti il teatrino sul cane Tarello/Birillo, con tanto di intervento dell’anagrafe canina? È l’avvocato del varesino che dichiarava di aver sentito la figlia di Basso chiamare Tarello il cane, commentando “mi sembra assurdo che una bambina di nove anni sbagli il nome del suo cane”. Assurdo come pensare che un avvocato confonda una bambina di quattro anni con una di nove… ma faceva parte della sceneggiatura. Mal scritta.

Basso “confessa” il 7 di maggio. Il giorno dopo tiene una conferenza stampa che è il trionfo dell’arroganza e dello scarica-barile, roba da rendere ancora più antipatico un corridore che nulla ha fatto in carriera per smussare l’angolosità del suo carattere. Chiede, il varesino, che gli sia ridata la fiducia, dice di essere stato “un pirla” e di vergognarsi anche davanti ai suoi familiari, insomma, interpreta la sceneggiatura alla perfezione… fino a un certo punto. Perchè nella corsa all’arroganza, Basso finisce per scattare come quando cercava di tenere la ruota di Armstrong al Tour, e finisce per andare fuori giri: le sue dichiarazioni sfondano la porta dell’equilibrismo patetico: l’accusa è di “tentato doping”, non di doping… quelle sacche di sangue, sì, le avevo, ma non le ho mai usate… mi ero rivolto a Fuentes in un momento di debolezza pensando che mi sarebbe tornato utile al prossimo Tour… non sono un collaboratore perchè non ho mai fatto nomi altrui… ecc… avanti così fino alla conclusione, lasciata al suo avvocato, che ammonisce la stampa di raccontare d’ora in avanti, la verità come è stata esposta dal corridore, perchè così stanno i fatti. Non si tratta di un avvertimento mafioso, ma ci si avvicina.

Le argomentazioni sono assai limitate: “quelle” sacche di sangue non sono mai state usate per forza, l’autoemotrasfusione implica che il sangue “trattato” viene ri-iniettato nelle arterie del corridore, se il sangue è ancora dentro alle sacche evidentemente non è ancora stato utilizzato (ma ci vuole tanto a realizzare un fatto così semplice?). Il discorso “tentato doping” in vista del Tour stride con l’analisi delle prestazioni di un corridore che ha modificato mostruosamente le sue prestazioni a cronometro nel giro di 12 mesi, motivando la cosa con una settimana nella galleria del vento.

Argomentazioni che peraltro corrono il forte rischio di essere sbugiardate dai processi futuri: se è tentato doping come si spiegheranno chiamate e messaggi tra il varesino e Fuentes durante l’ultimo Giro? Vedremo… ma qui subentra l’impressione che sarà proprio la prova di equilibrismo di Basso a salvarlo.

Basso smussa i colpi su ogni fronte: non parla di altri corridori, tanto per poter essere accolto nuovamente in gruppo (anzi, con maggior stima, lui sarà “quello che ha ammesso le SUE debolezze”); non parla di doping, così da incorrere nel processo sportivo in cui doping e tentato doping equivalgono, ma nel più complicato processo penale, laddove la Magistratura potrebbe chiedere di scoprire prove ben più compromettenti rispetto al potere limitato della giustizia sportiva; e si rivendica tutte le sue vittorie, con l’obiettivo di veder intatto il suo palmares, se non davanti agli albi d’oro quantomeno agli occhi della gente.

L’unico argomento su cui si può soltanto concordare, e non è poco, è il fatto che Basso in bicicletta è andato forte sempre, che l’atleta c’è davvero e non è solo frutto della farmacia. Ma è il solito discorso, su cui un giorno bisognerà tornare a riflettere a lungo: su come il ciclismo porti alla rovina anche i suoi campioni più lucenti, e come un padre vorace stritoli i suoi figli migliori col passare degli anni (Museeuw, Vandenbroucke, Pantani, Armstrong, Ullrich, Basso…).

La confessione di Basso, a guardarsi intorno, fin qui non ha convinto nessuno. La sua conferenza stampa ha concesso addirittura delle critiche dalla “sempre-asservita” Gazzetta dello Sport. E la richiesta di fiducia del varesino appare ben lontana dall’essere esaudita, con lo stridore di unghie sugli specchi che si è fatto sempre più forte negli ultimi 10 mesi fino al boom di questa settimana.

Quello che nessuno ha avuto il coraggio di chiedere a Basso, però, va oltre l’aspetto sportivo e coinvolge esclusivamente l’aspetto umano, e se nessun giornalista prezzolato di qualche inutile giornale sportivo glielo ha chiesto, mi si permetta di farlo a me, benchè invano:

Caro signor Basso, dopo tutta questa vicenda penosa, e prima ancora di questi ancor più tragici strascichi, ci confessi giusto una cosa. Ritorniamo all’anno passato, alla penultima tappa del Giro, al suo scatto in faccia a Simoni (personaggio antipatico quanto lei, sia ben chiaro), quando mostrò al mondo intero un comportamento molto prossimo all’infamia, per poi arrivare al traguardo a fare l’eroe con la foto di suo figlio appena nato. Alla fine di quella giornata, dopo aver mandato il messaggino di ringraziamenti al dott. Fuentes per l’efficacia dei trattamenti, ha avuto davvero la faccia tosta di pensare alla vittoria dedicata a suo figlio? E ha avuto il coraggio di guardarsi allo specchio dopo tutto ciò?

 

 

ps1- oggi comincia il Giro d'italia… auguriamoci che il livello di questo giro, dal punto di vista umano prima ancora che tecnico, non sia così basso…

ps2- Dieci righe, di più non ne merita, riguardo al primo commento del presidente Di Rocco alla vicenda, in cui sottolineava come Basso abbia fatto quello che tutti chiedevano a Pantani e Marco mai ha avuto il coraggio di fare, per concludere con un perentorio “non lasciatelo solo”.

Sembra superfluo dover ricordare i particolari stridenti delle due vicende, al di là di un ovvio appello all’inutilità di rimproverare i morti:

1)  gli indizi su Basso spuntano nel giugno del 2006, per un anno la FCI insieme a tutti gli addetti ai lavori (con la “solita” Gazzetta a tirare la volata) si spendono in sermoni strappalacrime sull’innocenza del corridore, sul garantismo, sull’assenza di prove… arrivando addirittura a paventare un complotto non si sa bene di chi (il jolly, in questi casi, sono sempre “i francesi” come insegnava Paolo Conte). Una archiviazione per il mancato invio delle carte processuali viene dipinta da tutti i media come una piena assoluzione.

Marco Pantani viene trovato con l’ematocrito fuori norma a inizio giugno 1999, dal giorno dopo il corridore viene messo sotto processo su tutte le prime pagine dei giornali (indoviniamo chi tirava la volata anche quella volta?) e da lì fino alle aule dei tribunali. Un procedimento penale viene avviato sui suoi esami del sangue rinvenuti durante un ricovero nel 1996, e lo porterà fino a una condanna per un reato ai tempi inesistente (!).

2)   Pantani ho sofferto di una forte depressione combinata drammaticamente alla dipendenza da cocaina. Una situazione umana già di per sè difficile, sulla quale è andata ad innestarsi la gogna globale iniziata proprio dal predecessore di chi oggi invita a “non lasciare solo” Ivan Basso. Questa situazione ha portato fino allo sbocco più tragico: la morte del romagnolo per overdose, avvenuta da solo, in fuga, in una stanza di un motel, nel febbraio 2004.

Va profondamente apprezzato, dunque, l’appello di Di Rocco alla “solidarietà” con Ivan Basso. Ma usare questo sentimento come detersivo per pulire la coscienza collettiva federale rimettendo al centro delle accuse Pantani è sintomo di una pochezza umana sconcertante.

 

2 Replies to “Un uomo decisamente basso”

  1. “…come il ciclismo porti alla rovina anche i suoi campioni più lucenti, e come un padre vorace stritoli i suoi figli migliori col passare degli anni”.

    Ciò che più fa incazzare è che – con o senza doping – il ciclismo non ha mai avuto bisogno di creare dei perfetti “supereroi” sempre vincenti per regalare alla gente dei beniamini, dei simboli, dei “numi tutelari”, persino. (anzi, quale altro sport ha esaltato così tanto i secondi, gli sconfitti, i sofferenti, gli sfortunati?)

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