Ripubblichiamo un bell’articolo di Stefano Olivari che insieme a Dominique Antognioni costituisce una delle voci meno allineate e più franche del giornalismo sportivo.
I suoi articoli li trovate in molti posti; questo è tratto da La Settimana Sportiva, un digest di giornalismo sportivo.
Contro il campo
di Stefano Olivari
28.02.2008
1. Anche il calcio italiano ha avuto il suo Super Bowl, peccato che sia arrivato tre mesi prima di fine stagione. Il gol stravoluto di Zanetti alla Roma, con tanto di esultanza alla Tardelli (il peggior allenatore conosciuto dall’argentino nei tredici anni in nerazzurro, con il secondo classificato che arriva quinto), ha dato all’Inter il terzo scudetto consecutivo e ridotto ai minimi termini l’interesse per la zona alta della classifica: a meno che qualcuno non creda seriamente che la Fiorentina possa resistere al ritorno di un Milan almeno decente. Non sarà mai troppo tardi per parlare di playoff, anche se il discorso sembra sempre fatto contro chi al momento sta vincendo: ma una serie A ridotta almeno a 16 non dovrebbe e non potrebbe farne a meno, come pensa anche il commissioner del futuro (che purtroppo coincide con quello del passato). Rimane il fatto di un Mancini capace di stravincere contro avversari a pieno regime, al contrario di quanto avvenuto l’anno scorso, contro un ambiente mediatico sospeso fra un morattismo deteriore (quello che faceva scrivere, sei mesi e non sei anni fa, che non sapeva valorizzare Adriano, Recoba e Coco) ed un’antipatia di matrice televisiva e moggiana, contro la sua stessa società anche al di là dei soliti discorsi sui rapporti con la struttura medica (contro la Roma un episodio emblematico: Combi con Maxwell a terra chiamava il cambio all’allenatore che aveva già effettuato le tre sostituzioni…), contro un presidente che si sente oscurato da lui a livello di immagine e qualche giocatore che si sente incompreso (Materazzi, Figo, Toldo) e che non a caso è stato isolato dal resto del gruppo: la bocca di Ibrahimovic nel post-Anfield era quella del suo allenatore. Come già più volte detto, il 4-4-2 ed il 4-5-1 lo conoscono anche in serie C2, e senza il falso mito della gavetta (prima panchina di Ancelotti quella di vice di Sacchi in Nazionale) ad alto livello la differenza la fa la personalità: con 15-16 giocatori che per te darebbero tutto si può arrivare in alto. Come nell’era Moratti solo Simoni aveva dimostrato, peraltro con un organico che tolto Ronaldo era da zona Uefa scarsa. Detto questo, se Mancini non farà l’impresa con il Liverpool la sua avventura all’Inter potrà considerarsi conclusa, per far posto ad un allenatore esonerato dal Chelsea proprio perché non ha vinto la Champions League, ma il piacere di vincere contro quasi tutti non ha prezzo.
2. Dicevamo prima del commissioner. Non è un mistero che Antonio Matarrese non piaccia più a nessuno, per motivi strettamente finanziari: né alle grandi che l’hanno visto passivo di fronte alla legge Melandri, che peraltro non avrà vita lunga, nè alle piccole stizzite per la gestione della vicenda dei diritti televisivi della B. Prima subordinati ad uno sconto di Platini per la subcessione di quelli europei (figura meschina globale) della Rai, poi dopo la persistente inerzia dell’emittente di Stato offerti a mezzo mondo, da canali porno ad emittenti localissime, senza incassare nemmeno l’offerta di accollo dei costi di produzione (15mila a partita, per una cosa che non sembri il filmino del compleanno). Politicamente l’ex deputato Dc (18 anni di sporadiche visite a Montecitorio) non ha più sponde, la sua ora sta per arrivare ma prima devono andare nella loro casella alcune pedine. E non occorre essere Kasparov per intuire che la prima è Adriano Galliani, che punta alla presidenza della Lega ma non vuole ritornare, soprattutto nel caso di scissione fra A e B, al doppio incarico che tanto fece discutere (anche gente che l’aveva votato, tipo Moratti e Sensi, e che avrebbe dovuto prendersla con se stessa): il vicepresidente del Milan viene ritenuto adatto dai peones a contrattare con le tivù le migliori condizioni possibili, soprattutto per chiaro e highlights, anche senza arrivare al miliardo di Matarrese. Con Berlusconi presidente del Consiglio su uno sbocco del genere si potrebbe giurare, con conflitto di interessi saltato all’italiana attraverso la gestione del Milan da parte di un manager sportivo di assoluta fiducia. Non Luciano Moggi, sogno di Berlusconi (un po’ meno di Galliani), come lo stesso Moggi va dicendo negli ultimi giorni a giornalisti amici, per la banale ragione che c’è una squalifica ancora da scontare: ci sarà tempo e modo per rendersi utile, comunque. I nomi caldi sono diversi, niente è ancora deciso, ma per evitare di fare la lista della spesa per poi puntare allo ‘Io l’avevo detto’ ne facciamo solo uno, non come dirigente di grande visibilità ma come braccio del Galliani emigrato in via Rosellini: Gino Natali, ben noto agli appassionati basket come dirigente in genere delle società di Giorgio Corbelli. L’ultima in ordine cronologico l’Olimpia Milano, dalla quale Natali è stato allontanato in circostanze poco chiare (nel senso che la mossa di Corbelli potrebbe essere stata solo di facciata) qualche mese fa in seguito non tanto ai risultati scadenti, quanto ad un mercato gestito in maniera fallimentare: un capolavoro il contratto di Danilo Gallinari, non prolungato per tempo ed adesso legato ad una clausola capestro (in sintesi: se a giugno Gallinari vorrà cambiare squadra rimanendo in Europa l’Olimpia continuerà a controllarlo e potrà guadagnarci, se invece come probabile sceglierà la Nba l’Olimpia lo perderà a zero). Natali viene tenuto in caldo per progetti cestistici slegati da Corbelli, ma intanto è stato gradualmente introdotto da Galliani nel mondo Milan, ormai non c’è evento nel quale non lo si incroci (domenica sera gli abbiamo quasi sbattuto addosso a Milan-Palermo), e quella rossonera è una società così organizzata che fare danni è difficile. Curiosità: sua figlia è legata all’indimenticato Ciccio Colonnese, uno dei pupilli di Moggi (davanti ai nostri occhi una volta lo chiamò ‘papà’, senza ironia), che a suo tempo ne consigliò l’ingaggio a Moratti per la serie ‘noi uomini di calcio’. Insomma, Natali o non Natali, saremo sempre vicini a quel mondo, con ovviamente un personaggio di indiscusso prestigio a fare da garante: chi meglio di Paolo Maldini?
3. A qualche giorno dalle relative moviole e supermoviole, magari non taroccate come quelle ‘a punti’ di Biscardi (con Moggi che dava indicazioni al giornalista sugli arbitri da salvare), il pessimo arbitraggio di Dondarini in Reggina-Juve merita qualche considerazione che permetta di capire cosa (non) sia cambiato nel calcio italiano nell’ultimo anno e mezzo. La prima è che Dondarini era tutto tranne che sereno: da quasi due anni per questioni di opportunità non dirigeva partite dei bianconeri, non per l’ambigua telefonata di Pairetto prima e dopo Sampdoria-Juventus ma per l’indagine su un Lazio-Juve e per i vari processi sportivi (in sintesi: la Caf l’aveva condannato, la Corte Federale l’ha rimesso in circolazione) e non. La seconda è che l’assicuratore (professione principe fra gli arbitri italiani) emiliano non poteva essere tenuto lontano dalla squadra più seguita d’Italia ancora a lungo, per la banale considerazione che si tratta di un arbitro internazionale: o un arbitro è credibile ed allora può andare dappertutto, oppure non lo è e non deve più arbitrare, questa la condivisibile linea di Collina. La terza è che il designatore ormai ha un organico pieno di giovani non-talenti e di semi-ricusati. Invisi non solo alle grandi che occupano gli spazi televisivi, ma anche a squadre come la Reggina: con un buon potenziale ‘sociale’ di pressione ed in panchina quel maestro di vita di Renzo Ulivieri, rappresentante degli allenatori italiani. Insomma, Dondarini era uno dei pochi disponibili, nello scorso fine settimana, a non essere detestato a priori né dalla Juve né da Foti. La quarta considerazione è che Dondarini nella stagione 2007-2008 si era comportato, prima di Reggina-Juventus, più che bene pur venendo strautilizzato da Collina. La quinta e ultima più che dietrologica è davantologica, da tanto che è scontata: bastonando questa Juve Dondarini ha di sicuro fatto un piacere ai dirigenti di quella vecchia, cioé i veri avversari ed avversatori di Cobolli e degli Elkann. Ma se Giraudo se ne è fatto una ragione, non altrettanto si può dire dell’amicone di tanti giornalisti purtroppo non licenziabili. Che in attesa delle stimmate, dello sconto di pena e della nuova società, continua ad ispirare articoli memorabili.
4. Memorabile, ma in positivo, è anche quello di Fiorenza Sarzanini sul Corsera di quasi due anni fa (26 maggio 2006), che avevamo ritagliato, perso e adesso abbiamo ritrovato grazie all’archivio storico online del Corriere. L’argomento era una delle tante telefonate di Leonardo Meani, l’uomo-arbitri di Galliani temporaneamente tornato ai suoi risotti. In questo caso la telefonata era di puro cazzeggio, al guardalinee Puglisi, per commentare i sorteggi arbitrali relativi ai quarti di Champions del 2005. Parlando della designazione di De Bleeckere per la partita della Juve contro il Liverpool i due amici giudicano l’arbitro belga ‘uomo di Pairetto’ nel calcio internazionale e quindi se la prendono con la Juve che, secondo loro, influenzerebbe anche le designazioni a livello europeo. In una successiva telefonata con l’arbitro Morganti (un ‘nemico’ della Reggina, per ricollegarsi al punto precedente) Meani continua a sparare contro la Juve, affermando che ‘De Bleeckere è praticamente il figlioccio di Pairetto nella Uefa’. Non ci ricordiamo particolari scandali, in quel Liverpool-Juve finito 2 a 1 per i Reds, anzi se vogliamo dirla tutta a Del Piero fu annullato un gol per un fuorigioco che non c’era. Questo per la precisione, magari il guardalinee non era ‘figlioccio’ di Pairetto, mentre a livello politico rimaneva il fatto che questa fosse la fama dell’arbitro belga. Protagonista senza fare danni di altre partite con italiane in campo, da Italia-Ucraina quarto del Mondiale 2006 a Milan-Manchester United dell’anno scorso. Fino alla partita di Anfield Road, con in campo la peggior Inter di stagione (a pari merito con quella di Istanbul) e fuori dal campo Materazzi dopo mezzora per un secondo fallo stupido ed un un primo inesistente. Davanti al televisore chissà la reazione di Pairetto davanti alla decisione del vecchio amico…C’è chi, come Adriano Galliani, crede che la soluzione ai mali del calcio italiano siano i fantomatici ‘arbitri stranieri’, infallibili e privi di condizionamenti. Un consiglio: chieda a Meani.
5. Meno male che a tirarci su il morale c’è il calciomercato, dove chi è cialtrone ha statisticamente quasi le stesse probabilità di azzeccare la notizia di chi fa mille telefonate al giorno. Chi al mondo poteva prevedere che nel 1997 Franco Sensi avrebbe ingaggiato Zeman, un minuto dopo avere ricevuto il decimo no da Trapattoni? Chi conosce i giocatori, almeno per sentito dire, può mescolare ogni giorno le biglie e fare l’estrazione, tanto nessuno protesterà perché tutti ne usciranno bene. La società presunta cedente vedrà aumentare il valore del giocatore, quella presunta acquirente si farà vedere attiva dai suoi tifosi, il giocatore potrà sparare richieste di ingaggio più altre ed il procuratore nemmeno ne parliamo. Ecco, basta conoscere i nomi. Però c’è anche chi non li conosce, non solo nella vituperata stampa sportiva italiana, ma anche all’estero. Da parte di Piero Cicala ci è arrivato il pdf di una esilarante paginata di Sport, quotidiano di Barcellona che vende circa 120mila copie al giorno, dello scorso 14 febbraio. La notizia è la tipica notizia che in Italia viene ripresa e rilanciata, allungando il brodo con sapienza: Diarra dal Real Madrid all’Inter. Ovviamente con il solito contorno di finti incontri, pseudoclausole, case già affittate, colloqui con l’allenatore, eccetera. Ma l’aspetto più esilarante del lisergico articolo è che l’agente di Diarra, Frederic Guerra, ha affermato di essersi incontrato con due dirigenti nerazzurri: ”He tenido reuniones con Marco Braida y con Alessio Secco – responsable del area tecnica y director deportivo del Inter”. Quindi il mostro Branca-Braida e Secco avrebbero definito per l’Inter i dettagli di qusta clamorosa operazione. Il bello è che la notizia è stata veramente ripresa da noi, l’abbiamo sentita in più di un servizio, aggiustando i nomi dei dirigenti e la società. Perché della stampa estera non si butta via niente: l’Economist è sempre autorevole, ma anche Sport non scherza.