[Repost] Un pied-a-terre a Milano

[Repost editato da confindustrial]

 

Uno dei grandi misteri del giro del centenario, fino a ieri, era sul perchè i corridori
fossero stati i primi ad accettare un giro cosi’ brutto.
E la loro protesta di Milano non sara’ contro un progetto generale, meava
ad inserirsi comunque nel quadro… che vede un percorso (anzi, uno
"show") velocissimo e scattante inserito a meta’ corsa, col gruppo
ancora folto e la bagarre nel vivo.


Cio’ che piu’ stupisce della protesta di Milano e’ la reazione di Zomegnan,
una reazione stizzita e permalosa, come farebbero un Berlusconi o un Beppe Grillo qualunque. La reazione di chi comincia a sentirsi bruciare
il culo dopo aver tanto decantato un "prodotto" dimostratosi scadente
agli occhi di tutti i suoi "fruitori", prima ancora di essere arrivati
a meta’.


Ed e’ quasi un peccato che l’organizzazione abbia reagito cosi’, perche’
avrebbe potuto comunicare tutt’altro in questa occasione. quello che,
involontariamente, hanno comunicato i corridori stessi.

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[Repost] un centenario rosa smorto

[Repost editato da confindustrial]

e’ iniziato il Giro d’italia del centenario.
ed e’ un Giro di merda. costruito tutto su una spettacolarita’ fasulla, improntato sull’avere grandi nomi, che alla fine dei conti mancano i due veri fuoriclasse delle corse a tappe (Contador ed Evans) ed e’ difficile bilanciarli con due gregari ben invecchiati (Sastre e Leipheimer), il ritorno di Armstrong, e il solito manipolo di corridori locali, per quanto aitanti possano essere.
la spettacolarita’, quando non la danno i corridori, pero’ la puo’ dare il percorso, ed e’ questo cio’ che piu’ deve aver impaurito la Gazzetta, altrimenti non si spiegherebbero scelte cosi’ idiote. lo spettacolo e’ una bella corsa, non e’ piazzare tappe a caso in luoghi stravaganti on un kilometraggio casuale… o meglio, e’ spettacolare come vedere Giuliano Ferrara nudo (o anche peggio, Auro Bulbarelli). stravagante, stupefacente forse, sicuramente raro da vedersi… ma fa schifo.
questo e’ il Giro del centenario che ci aspetta.

in un Giro cosi’ di basso profilo, la soddisfazione maggiore si puo’ solo trarre dallo sputtanamento.

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Ultimo modello di tifoso: il razzista azzurro

 

Riportiamo, tanto per far vivere ogni tanto il sito, e a dispetto degli altri soci che parlano parlano ma alla fine non fanno una mazza, un articolo da un sito di tifosi interisti, ma che mette in luce un fenomeno orribile di cui siamo stati testimoni in svariati forum di tifosi: l’emergere di un razzismo per nulla velato che si riassume nella frase "non esiste un negro italiano". Ci spiace per tutti i nazistoidi in giro per gli stadi e per i loro soci qualunquisti, esiste, ed è fortissimo.

scritto da watergate
venerdì, 05 settembre 2008
alle 09:52

   La
galleria dei pagliacci da circo mascherati da tifosi di calcio è ricca
e variopinta come un museo di storia naturale, ma l’ultimo esemplare
arrivato e messo in mostra suscita più ribrezzo di un singolo dance di
Gigi D’Alessio. Non che non ci siamo abituati, beninteso. Una
delle peggiori eredità di Calciopoli è lo juventino incazzato col
mondo, che pensa di essere vittima di un complotto planetario ordito da
una personalità che prima giudicava demente e adesso reputa capace
delle peggiori diavolerie.
Non starò a rovinarvi il fegato con
della bassa sociologia. Gli juventini hanno sempre rubato e lo sanno
bene. Vivono questo dramma interiore scaricando le colpe sugli altri,
nonostante abbiano commesso le peggiori ruberie della storia dello
sport. Ora, aggiungete a questa già preoccupante paranoia un pizzico di
xenofobia, del sano orgoglio razzista e troverete pronto il nuovo
orrido esemplare che da tempo urla negli stadi e scaccola nei forum dei
principali siti italiani al grido di "Non Esiste Un Negro Italiano",
già sentito durante il Trofeo Tim. L’anti-interista razzistoide che non
vuole Balotelli in quanto nero e figlio di genitori ghanesi.

   La storia di Balotelli è da copertina, meravigliosa, indice di
quella integrazione che – a parer mio – arricchisce un popolo. Io ho le
mie idee politiche ma so per certo che uno dei migliori modi per
progredire è integrarsi, al di là delle naturali esigenze di sicurezza
che possiamo desiderare in un dato momento storico (e in particolari
condizioni… non entro nel merito della polemica politica, non è la
sede). Tuttavia, a Mario Balotelli alcuni tifosi anti-interisti (e
saranno sempre di più dato che l’ignoranza impregna più della saggezza)
vorrebbero impedire, da italiano come loro, di vestire la casacca della
Nazionale. Ecco alcuni commenti fatti passare dalla moderazione del sito della Gazzetta dello Sport.

Badboy83 (milanista e sardo come me): "Sei fortissimo ma non basta avere il cognome italiano per la maglia azzurra… sei ghanese onora quella maglia". Member 189076 (sembrerebbe di Arcore) ci pensa su e dichiara: non credo sia giusto portarlo in Nazionale.
Un tizio chiamato Bergarich ci va duro con lo stereotipo del calciatore
africano, mettendo in dubbio l’età di SuperMario (registrato
all’anagrafe di Palermo!):  "Credo che dovrebbero studiare il
fisico di questo calciatore. Non ho mai visto un calciatore con quel
fisico a 17 anni. Secondo me ha quasi 30 anni
". L’aggravante di proporre la cura in stile T4 non è niente male. Il Fenomeno27 ha paura del melting-pot, rispolverando un vecchio refrain caro a Le Pen: "Tra poco l’Italia assomiglierà alla Francia, che delusione!". E così via. Gente decerebrata che dice "purtroppo ci toccherà vederlo in Nazionale" si trova anche qui, altrove si fa ancora ricorso al colore della pelle per determinare la nazionalità. Qui pure c’è tanta spazzatura. Qua siamo al delirio. Siccome tutto il mondo è paese ne accomuna più la stupidità che l’intelligenza: non mancano i tifosi interisti "contrari" a SuperMario.

   Ecco, se c’è un segnale che la scuola italiana ha completamente
fallito il proprio obiettivo, negli ultimi 25 anni, è questo: degli
stupidi sgrammaticati che scrivono cose indicibili degne di peggior
causa.

da bauscia.splinder.com

[Calcio Metafora] L’Italia è in Europa

Sui libri di storia di solito c’è
scritto “si respirava un clima generale di paura e odio”. Sui
giornali sportivi si accenna soltanto a incroci pericolosi e retate
dei birri (europei) contro i cattivoni nazi. Poi fine, che il calcio
ci deve fare rilassare. In realtà però questo inizio di
Europeo, oltre a fornire spettacoli squallidi (vedi Romania Francia)
ha dato in pieno l’idea di cosa significhi sentirsi in Europa. Si sa
che noi italiani quando facciamo le cose le facciamo per bene. Siamo
in grado, di solito, di capire da che parte tira il vento e remare
immediatamente in quella direzione. Anche prima di altri. E allora la
barbarie italiana non sembra stupirci, dando un occhio a quello che
gira intorno all’Europeo di calcio.

Calcisticamente parlando,
ad esempio, vedere i polacchi contro i tedeschi, si fa presto a
decidere per chi tifare. I panzer ad ogni corsetta o passaggio
sembrano urlare Anschluss. Ad ogni cross, sembrano marciare
in migliaia, uniti e compatti a riempire aree di rigore come fossero
piazze. Poi quella fascia nera sulla maglietta, che non preannuncia
niente di buono. Invece loro i polacchi, hanno la maglietta rossa.
Anche se il brand è Puma, lo stesso dell’Italia, della
Svizzera, dell’Austria (tutte perdenti: porta mica sfiga?) sembra una
di quelle divise delle squadre dell’est dei pre Ottanta. Strette e un
po’ sfigate. Sarà quella scritta a destra, Polska e
quel baffetto dietro. Molto Goodbye Lenin. Poi dopo 5 minuti li
infila proprio lui, Podolsky, il centravanti polacco (ma che gioca
con la Germania) che gli servirebbe, per aiutare il suo connazionale
Smolarek, occhi spenti e fisico sfigato: sembra appena uscito di
nascosto da un corso di marxismo per andare a pregare sulla tomba di
Woitila.

E invece il panzer acquisito ne mette dentro
un’altra e fa la faccia triste. Qualcuno pensa: hai fatto gol,
esulta! Se sei così triste potevi pensarci prima e scegliere
di giocare con i tuoi fratelli polacchi. La pensa così un ex
ministro nazionalista polacco: via la cittadinanza a quel bastardo!
Ma non solo. I tedeschi sono stati zitti, dopo, ma anche prima:
quando un quotidiano polacco ha mostrato l’immagine del mister
polacco (che polacco non è) tenere tra le mani lo scalpo di
Ballack e del tecnico tedesco. Agghiacciante e perfetto: le due teste
penzolanti avevano gli occhi chiusi. Quando si dice l’attenzione ai
dettagli. E finisci che godi alla doppietta del polacco tedesco. Ben
vi sta. E poi siete la terra del Papa che ha sconfitto il comunismo:
non ve lo perdoneremo mai.

Ognuno quindi si incita e aizza a
proprio modo, in un clima che viene da rimpiangere quelle belle
gradinate carioca o africane che si vedono ai mondiali. E’ la vecchia
Europa che annega nella sua merda, invece, quella che vediamo nel suo
riflesso calcistico e di tifo.

Per caricarsi prima delle
partite Materazzi – simbolo della perfidia e della cattiveria
calcistica – aveva detto di ascoltare Notti Magiche, innocuo, mi
pare. Bilic, mister della Croazia, invece intona canti nazisti degli
ustascia e pretende che i suoi giocatori cantino insieme a lui. La
cosa grave non è la scelta di Bilic. E’ che tutti i giocatori
cantano. E per non farli sentire soli, la stessa canzone (una hit
nazi croata) la cantano anche i loro tifosi. Se si aggiungono i nazi
tedeschi, i nazi austriaci e i consueti tricolori littorici italiani,
quel solito nasino all’insù dei francesi e gli inglesi che non
ci sono ma che decidono che Modric (lo conoscete?) è il quinto
– o il quarto e comunque viene prima di Ibra, per dire – migliore
giocatore europeo solo perché ha fatto fuori loro, dobbiamo
sperare davvero che passino questi vecchi europei e arrivino i
mondiali con altre civiltà che si affacceranno allo stadio e
ci diranno: fate proprio cagare, europei!

[Calcio metafora] Donadoni e la memoria

Italia-Olanda 0-3

Siamo
un paese senza memoria, in cui i colpi bassi arrivano anche da quei
pochi uomini che decidiamo di supportare. Perfino nel calcio,
passatempo godurioso che seguiamo ormai senza passione, ma con
attenzione e curiosità tattica immutata. E così
Donadoni da simpatico diventa una delle nuove cause perse, mettendo
in campo – all’esordio dell’Europeo – una squadra che ha ricordato il
Genoa all’esordio in A: 0-3 dal Milan e l’idea che uomini e
allenatore fossero vagamente allo sbaraglio nella competizione da
affrontare. Non di categoria, per dire.




Si diceva della
memoria: non ci ricordiamo le leggi razziali e Donadoni non ricorda
il campionato appena concluso. O abusa di erba (perdita della memoria
breve) o anche lui è vittima della presunzione tutta
sacchiana. Quello che pensava di trasformare un bomber (Signori) in
un difensore, tanto per intenderci. Quello che pensava di avere
inventato il calcio, anche.
 
Quali sono stati i segnali del
recente campionato? Che il Milan è cotto. Che il Palermo ha la
terza peggiore difesa del campionato. Che Materazzi è
inguardabile. Che Camoranesi ha fatto un’annata agghiacciante.


Ieri
contro l’Olanda l’Italia ha schierato: il centrocampo del Milan
(mentre i tonici romanisti Perrotta, De Rossi e Aquilani si
sbaciucchiavano con le mogli e giocavano a nascondino con i figli,
tanto non sarebbero mai entrati), Materazzi, Barzagli e Camoranesi
(con Cassano in panchina. E se un genoano urla al sacrilegio, ci sarà
un motivo!). Perché? Mistero.




E ancora. Come diceva il
maestro Brera, i nostri successi sono sempre arrivati quando abbiamo
giocato seguendo antropologiche regole applicate al calcio. Che paese
è l’Italia? Un paese di carogne, di pecoroni, di meschini,
ignavi, gente senza coraggio, timorosa e forte solo con i deboli
, che
dà il meglio (o il peggio a seconda della visuale) quando
scatta l’emergenza. Ed ecco i furbetti, l’astuzia, il “dimmelo tu
che te lo dico io”
. Tradotto in calcio: dietro a fare finta di
morire piangendo e invocando Padre Pio e quando meno te lo aspetti
ecco la furbata (cadute, falletti e contropiede) e bestemmia come
esultanza. Siamo così.




Invece Donadoni sceglie il
tridente. Però, forse per rispetto delle nostre
caratteristiche storiche, o per paura dei giornalaia allenatori, lo
maschera: e così Di Natale e Camoranesi seguono i folletti
olandesi posti tra le linee (Snejder e Van Der Vart) e ballano in
continuazione, senza difendere e senza avere il pelo per l’attacco,
sbilanciando una squadra che a tratti è apparsa più in
balia
di se stessa che non degli avversari.




Ora a questo
punto contro i rumeni è il dramma sportivo. Preferiamo un
successo di Mutu e compagni che minimamente vendichi le angherie che
sopportano i loro connazionali in Italia, o in fondo il calcio non è
la politica e quindi auguriamoci di asfaltarli e andare avanti,
almeno mantiene un po’ di interesse questo Europeo che, se non ci
fossimo stati noi a beccare tre pere, sarebbe uno dei più
noiosi, insipidi e meno interessanti della storia?


Euro 2008: un altro punto di vista

 

Questo blog avrebbe molto da dire, ma chi ci scrive è malato di cialtronite cronica, quindi vi dovrete accontentare della sua estrema discontinuità. In questo momento vorremmo parlare degli Europei che arrivano, ma in effetti c’è chi lo farà in maniera più interessante di noi. Al massimo ci cimenteremo in valutazioni calcistiche, dato che quelle sociali e politiche hanno ampio spazio su un blog dedicato: euro08.noblogs.org

Stampate, diffondete, pensate!

Una società di calcio moderna

 

A tutti noi rivoluzionari della domenica piacerebbe avere una squadra di calcio nuova, legata a una gestione popolare e collettiva, ma capace di competere ai massimi livelli, una sorta di Saint Pauli della serie A. Purtroppo però il tempo delle favole è finito da un pezzo nel mondo pallonaro, e in ogni caso prima di immaginare un modello societario nuovo per un team di calcio, dovremmo forse provare a conoscerne i meccanismi un po’ più a fondo. Continuando a seguire con attenzione alcuni processi in atto, vedi il tentativo di azionariato popolare per salvare lo Spezia Calcio, non si può non notare come in Italia si abbiano molti esempi di come dovrebbe essere una società di calcio moderna di alta fascia. Alcuni si possono considerare più riusciti, altri sono invece catastrofici. Nessuno ovviamente può considerarsi neanche lontanamente vicino alla perfezione. Cerchiamo di andare con ordine, vedere alcuni esempi e poi cercare di mettere in fila come dovrebbe funzionare in teoria.

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Via i tifosi dagli stadi

 

Fenomeno curioso il calcio all’italiana: ogni tragedia diventa una scusa per un malcelato tentativo di peggiorare la situazione oppure per fare soldi. In altri tempi si sarebbe chiamato cinico opportunismo, mentre nel terzo millennio si chiama senso della cosa pubblica, in maniera a dire il vero piuttosto eufemistica. Quest’anno nella dodicesima giornata di andata e di ritorno (e poi si dice che sia il tredici a portare sfiga…) due tragedie hanno segnato il campionato di calcio italiano: all’andata in un autogrill un tifoso laziale viene ucciso dal proiettile sparato da un agente ad alzo zero, aizzato dall’isteria anti-ultrà e dalla sensazione diffusa tra gli operatori che contro i reati da stadio valga tutto e tutto venga giustificato dagli esperti del settore di fronte a opinione pubblica e politica; al ritorno in un autogrill un mezzo battibecco tra tifosi (al meglio) scatena il panico dell’autista di un autobus di tifosi bianconeri che investe (passandoci sopra con entrambi i treni di ruote) un tifoso del Parma. In entrambi i casi la risposta è: vietiamo le trasferte. Non importa se nel primo caso andrebbe vietato l’uso delle armi alle forze dell’ordine, o almeno garantito che i loro crimini venissero perseguiti con la stessa determinazione e pubblicità di quelli di altri settore della società italiana, e che nel secondo caso andrebbero incriminati per concorso morale i direttori delle principali testate giornalistiche e televisive italiane per l’isteria creata. Importa solo che si dia l’impressione di avere qualcosa da dire. Mentre a noi, che conoscevamo Matteo e non conoscevamo Gabriele, viene solo da rimanere in silenzio di fronte a morti assurde ed evitabili. 

Il vero problema è che nessuno ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di ammettere che il problema non sono le persone morte, ma la necessità del calcio di essere un bel business esente da imprevisti, degli stadi pieni sì, ma di marionette disposte ad applaudire tenuamente quando si segna un gol. Tanto i soldi arrivano dalla vendita di magliette di R9 e R10, e dai diritti televisivi. La miopia di questo ragionamento stupisce solo chi ci va allo stadio e chi le partite ama guardarle: senza calore umano, senza passione, non c’è calcio, ma solo un film (bello è tutto da vedere). Ma in Italia come al solito sarà troppo tardi quando qualcuno con un minimo di buon senso deciderà di prendere la parola. Tanto per ragionare a modo loro, basterebbe guardare nella tanto osannata Inghilterra: a parte il fatto che in Gran Bretagna si è intervenuti dopo tragedie immani individuandone le origini e proponendo soluzioni ai problemi specifici, non si è mai pensato che si dovesse avere uno stadio silenzioso ed ordinatamente noioso. Il problema in Inghilterra fu individuato nella fatiscenza degli impianti e nella scarsa possibilità di controllo: gli stadi furono rifatti da zero, e si implementò una rigida politica di controllo e prevenzione. Questo ha spostato gli scontri fuori dagli stadi, ma gli inglesi hanno deciso che stava loro bene di muovere il problema dallo sport alla criminalità ordinaria. E’ stata una scelta. In Italia non vediamo nessun intervento sugli impianti, strutture inadeguate, in cui tutti a cominciare dal presidente della Lega hanno mangiato miliardi del vecchio conio, sperando di mangiare ancora di più grazie all’Europeo 2012, fortunatamente sfumato dalle mani dei peggiori speculatori del Paese. In Italia non vediamo nessun intervento che cerchi di risolvere il problema del controllo negli stadi, ma solo la voglia di garantire alle forze dell’ordine maggiore agibilità nell’uso della forza (a caso di solito). In Italia vediamo tv e giornali che alimentano l’isteria ogni giorno, per vendere una inserzione in più, senza preoccuparsi di quanto quello che dicono produce nel popolo bue italico. 

L’unica soluzione a tutto questo è un po’ di buon senso, la misura di ciò che avviene nel mondo reale, lontano dai palchi e dai palcoscenici e dalle telecamere, e molto senso di responsabilità. Unito a un amore spassionato per il gioco del calcio e per tutto quello che rappresenta. Nessuno di quelli che sta in cima alla piramide che decide di questo sport gode di nessuna di queste caratteristiche: troppo chiusi nei propri palazzi per capire la realtà, troppo chiusi nei propri affari per capire il termine "buon senso", troppo moderni per capire il senso della parola responsabilità. Tanto paga sempre qualcun altro. Con la vita.

Newscientist: il tifo non ha effetto sulle vittorie in casa

 

Questo articolo è apparso sul sito di Newscientist. Devo dire che la ricerca (e la sua base scientifica) non mi convince molto, ma è utile per dare argomenti a chi vuole gli stadi sempre più vuoti (tanto è tutto uguale no?) e i palinsesti sempre più pieni. Sarà anche assurdo scientificamente attribuire un ruolo al tifo, ma il calcio alle volte è irrazionale passione. Sennò che gusto c’è?

I tifosi allo stadio non hanno effetto sulle vittorie in casa

Alcuni stadi hanno un effetto maggiore sul determinare le vittorie sportive in casa? Sembra di no, almeno nel calcio.

Molti sostengono che un tifo scatenato o stadi gremiti portano alcune squadre ad avere un vantaggio maggiore quando giocano in casa di altre con supporter meno indemoniat o impianti più piccoli. Andreas Heuer e Oliver Rubner dell’università di Münster in Germania hanno analizzato 12.000 incontri della Bundesliga tra il 1965 e il 2007. La differenza reti è stata usata come valutazione della resa della squadra, al posto delle vittorie dato che è chiaro che la prima dia una misura più precisa del vantaggio, dice Rubner.

Heuer e Rubner hanno confermato il fatto che le square in casa hanno un vantaggio sulle squadre che giocano in trasferta: la squadra di casa infatti segna 0.7 gol in più a partita della squadra ospite. Purtroppo però non hanno trovato una squadra che fosse migliore di altre in casa (www.arxiv.org/0803.0614).

Nonostante alcune squadra appaiano particolarmente forti nel loro stadio, questa supposizione è spesso basata da vittorie conseguite in un numero limitato di partite, scrive Rubner. Ogni  vantaggio del giocare in casa è scomparso nel momento in cui abbiamo esteso l’analisi a un numero infinito di partite. Questo fenomeno è analogo a quello di quando si nota una moneta cadere su una faccia più che su un’altra entro un certo numero di lanci. "Atrribuireste questo fenomeno all’effetto psicologico della persona che lancia la moneta?", si chiede Rubner.

Storie Minori

Anche nel calcio e nelle sue derive sociali, esiste la storia ufficiale, di televisioni e giornali mainstream, e quella minore, spesso meno aulica, ma sempre più schietta e intrigante. Le vicende di Calciopoli e la recente emergenza ultrà, sono due esempi piuttosto lampanti circa il modo di proporre visioni del mondo che passano, infine, come le versioni definitive della nostra storia. Su Calciopoli si è proceduto in modo schiettamente italiano: dapprima titoloni e grida di scandalo, poi, piano piano, tutto rientrato, trafiletti da leggere con la lente di ingrandimento. La magagna è scoppiata, si è dato fiato alle trombe, si è identificato il Grande Male (Moggi) poi è arrivato il momento di voltare pagina e fine. Così gli stessi eventi possono essere letti in più modi, specie ricordando episodi che, pur nella corale denuncia, sono stati sapientemente oscurati. Perché va bene dire che nel calcio c’era un cancro, meno bene è fare il disturbatore anti sistema, continuare a ciurlare nel manico dei mali del calcio, quando c’è un campionato (noioso) da rendere appetibile per pay tv e carrozzone.

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