[repost] i tifosi genoani sul cosiddetto sciopero dei calciatori

[ Articolo originale su grifoni.org ]

Doveva succederci anche questa. Sopportare l’idea che un gruppo di giovanotti miliardari, con le loro luccicanti Ferrari e le mutande di Dolce e Gabbana, avessero l’alzata di ingegno di indire uno sciopero.Anzi, viene quasi un conato di nausea ad accostare la parola sciopero a persone che non hanno mai seriamente lavorato un giorno in vita propria.
E’ un insulto alla nostra benevolenza. Per noi che siamo dall’altra parte del vetro, che spendiamo denaro, tempo, energie, consumiamo ferie, impegnamo il nostro (poco) tempo libero per vedere 90 minuti di uno spettacolo che in più di una circostanza è al limite del decoroso, agli orari più improbabili, con le condizioni meteo più disparate, con biglietti sempre più cari, con i palinsesti televisivi che spadroneggiano su qualunque barlume di buon senso e costretti a sottoscrivere un’assurda ed inutile tessera per poter seguire la nostra squadra. Accolti in stadi paleolitici da agenti di pessimo umore a cui spesso prudono pure le mani.

Oltre a tutto questo, perfino l’astensione dal “lavoro” dei pedanti di professione ci toccherà sopportare. A noi che siamo operai cassaintegrati, ricercatori sui tetti, studenti che gridano per strada, famiglie che devono contare gli spiccioli prima di mettere al mondo dei figli, con debiti di 30 anni con la banca per comprare un piccolo appartamento in perIferia. Siamo noi, quelli che di tanto in tanto si vedono nei telegiornali (se siamo fortunati e qualcuno si degna di darci ascolto). Quelli che occupano l’Asinara pur di avere un piccolo cono di luce sulla propria condizione e sul proprio disagio.
E, quasi come una beffa, ci vediamo insultati da gente baciata dalla fortuna, i cui figli e pronipoti vivranno nell’agio e senza la minima preoccupazione economica, li vedremo usare uno strumento che è stato l’emblema della lotta di emancipazione dei più deboli, come se fosse per davvero un loro diritto.
E nemmeno ci interessa sapere se le loro istanze sono ragionevoli o sbagliate, se hanno ragione o hanno torto. Non ci interessa. Davvero vorremmo sapere se in una nazione stritolata dalla crisi economica,dove gli ultimi stanno andando alla deriva senza un salvagente che non sia la carità dei penultimi, si possa tollerare l’insolenza di chi vive in una torre d’avorio come se fosse normale, ineluttabile,dovuto. La nostra risposta, pensiamo, sia men che sottintesa in queste poche righe. Le quali, lo speriamo, servano a far abbassare lo sguardo di questi signori quando alla mattina si faranno la barba davanti allo specchio.

Con tutto il nostro biasimo vi gridiamo… VERGOGNATEVI!!!

La Tifoseria Organizzata del Genoa.

Chiamale se vuoi tentazioni

 

Erano ormai giunti ad un punto di rottura e pronti a catalogare lo
studio come inclassificabile, unico caso dopo decenni di studi portati
tutti a termine e con precise indicazioni sociologiche. Finché un
italiano non gli ha dato la soluzione…

Sulle pagine dell’autorevole Sociology Review è stato recentemente
pubblicato(1) un breve saggio che, pur essendo passato inosservato qui
in Italia, possiede risvolti se vogliamo anche un po’ comici, non
fosse che per il quadro assai poco lusinghiero che emerge del nostro
Paese.


Qualche mese fa, un gruppo di ricercatori statunitensi ha completato
uno studio sulle cause della microcriminalità in Italia, commissionato
a quanto pare dal Ministero degli Interni all’Università dell’Iowa per
identificare le cause sociologiche della criminalità non-organizzata
al fine di individuare strumenti alternativi con cui combatterla.

Come spesso accade sulle riviste accademiche, l’articolo presentato è
soltanto un spunto iniziale di studio relativo alle prime impressioni
suscitate dal periodo di osservazione dei firmatari. "I risultati
verranno resi noti tra qualche mese" (2) è infatti la frase di
chiusura dell’articolo che però, seppur a questo stadio embrionale, ha
fornito all’equipe della Iowa University of Des Moines spunti
sufficientemente interessanti per iniziare a interessare l’intera
comunità scientifica d’oltreoceano.

Non trapelano molte notizie sul campione statistico preso in esame, ma
nella parte introduttiva si accenna a "migliaia di volontari
sottoposti al test" (3) cosa che dovrebbe rendere lo studio quantomeno
attendibile.

Per certi versi, come anticipavo all’inizio, i risultati sono stati
imbarazzanti e, non fosse per l’impianto assolutamente rigoroso
dell’indagine e per l’autorevolezza della rivista che ne ha pubblicato
i primi stralci, potrebbe facilmente non essere preso sul serio. A
stupirsene sono gli stessi firmatari della pubblicazione, ammettendo
candidamente "Before the final, surprising proof, we didn’t think
anything like that could ever be taken in serious consideration" (4).

Se la realizzazione del micro-crimine rimane a livelli di normalità
col resto d’Europa — pur mantenendosi leggermente superiore ad altri
paesi quali Francia, Grecia e Spagna — a preoccupare è quella che gli
stessi autori definiscono "tendenza al crimine". (5) Un numero
impressionante di intervistati (poco più del 79%), ha infatti
confessato che, avendo l’assicurazione di non essere scoperto o, in
alternativa, avendo garanzie anche minime di incorrere in condanne più
o meno lievi, "avrebbe volentieri commesso un crimine". (6) In molti
casi, "un crimine qualunque" (7) "per il semplice gusto di farlo" (8).
Gli stessi (soggetti anonimi, come precisato nell’identificazione
della procedura adottata nel paragrafo di preambolo), hanno ammesso di
"sentirsi impunibili o quasi". (9)

E’ proprio qui, come ammettono i ricercatori, che la loro indagine si
è trovata "a un punto morto" (10). Il motivo è presto spiegato: "Non
esisteva un solo comun denominatore che potesse determinare la causa
di un simile atteggiamento perché i soggetti intervistati non
possedevano radici comuni di alcun genere: non la categoria sociale,
non l’estrazione culturale, non l’educazione né il censo… niente che
potesse ricondurre quei sorprendenti risultanti a un unico ceppo
individuabile che fosse poi possibile sottoporre ad analisi
ulteriore". (11)

Da notare che il team coinvolto nell’indagine è tutt’altro che poco
preparato: Johnson, Reynard, Berkovitz (i primi tre firmatari) sono da
decenni consulenti dell’Unione Europea e della Casa Bianca, e i
ricercatori co-firmatari dell’articolo (McKenzie, Hutchinson, Smith,
Rice e Stratton) hanno all’attivo diverse pubblicazioni su riviste di
settore, spaziando dall’analisi statistica (è il caso di Smith) alla
matematica (Rice) per finire con la sociologia antropologica
(Stratton, Hutchinson).

Come ammesso candidamente in sede di pubblicazione, "la soluzione
all’enigma non arrivava".(12)

"Eravamo sul punto di abbandonare lo studio", ci ha confessato Ezekiel
Reynard quando l’abbiamo contattato via mail, "finché un cameriere,
durante la cena della sera prima della partenza, si è lasciato
scappare una battuta apparentemente innocua che inizialmente non
abbiamo nemmeno compreso". Si tratta di una battuta, però, a cui noi
italiani siamo abituati. Per farla breve, nel sentirli discutere di
tante persone così diverse tra loro unite solo dal desiderio e
dall’inclinazione a commettere un reato — uno qualunque purché fosse
reato — il cameriere ("che per nostra fortuna, lavorando in una
rinomata località turistica, conosceva perfettamente l’inglese",
aggiunge Reinhard direttamente nell’articolo) (13) ha esclamato
ridendo: "Saranno certamente dei gobbi". (In originale nell’articolo
la parola adoperata è l’arcaico "Hunchbacks") (14)

La storia sembrerebbe finita lì, con una battuta.

"Quando vidi Paul [Johnson, NdT] alzare le sopracciglia in quel modo
capii che aveva subodorato qualcosa" ci confessa via mail Phil
Mckenzie, il più giovane dei sociologi, al primo impegno di questa
portata ma già in ambiente accademico considerato un precoce genio.
"Ci siamo ammutoliti tutti perché Paul quando fa così trova sempre la
soluzione al problema. E infatti la soluzione è arrivata".

L’articolo della Sociology Review prosegue così: "Paul chiese che
qualcuno gli traducesse il termine ‘gobbo’, ma la traduzione non ci
fornì ulteriori segnali. Nessuno degli intervistati, infatti, aveva
caratteristiche fisiche che potessero portare alla mente problemi alla
spina dorsale (15) […] "Mentre tutti noi avevamo già derubricato la
questione a puro folklore italiano" prosegue McKenzie nelle note a
margine dell’articolo,(16) "Paul non volle fermarsi e richiamò il
cameriere. Il ragazzo all’inizio sembrava spaventato… gli abbiamo
spiegato il problema e ha cominciato a ridere come se avesse visto il
miglior film comico della sua vita."(17)

Dopo essersi calmato, il giovane cameriere (18) spiega a McKenzie e a
Paul Johnson che, in Italia, il termine "gobbo" (19) è riferito ai
tifosi della Juventus. "Sono pronto a scommetterci la mancia che mi
lascerete" conclude il cameriere.

Nei giorni seguenti, rimandato il viaggio di ritorno, il team "ha
richiamato i soggetti dello studio, tentando di rintracciarli tutti".
Ciò non è stato possibile (20), ma la percentuale di "astenuti in
seconda analisi" (21) è talmente irrisoria da non aver inficiato,
secondo Paul Johnson, i risultati dello studio stesso. Ai richiamati è
stata sottoposta la precisa domanda "Per quale squadra di calcio fai
il tifo?" (22). Domanda che, stando sempre alle Note a Margine firmato
da McKenzie, "aveva riscontrato diverse opposizioni tra gli altri
membri del team, che non la ritenevano sufficientemente seria. Se Paul
e Ezekiel [Reynard, NDR] non avessero fatto valere tutta la loro
autorità accademica, credo avremmo dichiarato conclusa l’indagine con
un insuccesso" (23) chiosa McKenzie.

Il risultato della ripetizione dello studio è stupefacente: soltanto
lo 0,2% dell’iniziale 79% "tendente al crimine" ha dichiarato di
supportare una squadra di calcio diversa dalla Juventus. E, di contro,
soltanto lo 0,28% del restante 21% si è dichiarato "juventino" (24).
Numeri inequivocabili che, oltre allo stupore che possiamo immaginare,
ha portato a un’ulteriore verifica, effettuata questa volta con
"soggetti diversi, selezionati con il preciso scopo di tenere al di
fuori della ricerca i tifosi della Juventus" (25). E il risultato, se
vogliamo, è stato ancora più imbarazzante: il 99,65% del secondo
campione non ha mostrato tendenze alla criminalità. "Tra gli scartati
perché tifosi della Juventus, il rapporto era inverso: il 99,73% era
incline a commettere un reato qualunque." (26)

"E’ innegabile", riferiscono Paul Johnson e Ezekiel Reynard in un
recente articolo integrativo apparso nel supplemento della Sociology
Review (27), "che i risultato siano anomali, ma d’altra parte non era
possibile in alcun modo mettere in discussione la prassi scientifica
consolidata secondo cui lo studio è stato condotto. Lo studio è stato
ripetuto con gruppi di persone meno folti, in cui è stata tentata
un’omogeneizzazione in altri ambiti quali, per esempio, l’estrazione
sociale, il reddito e l’area politica di appartenenza" (28).

E le conclusioni sono sconcertanti. "L’unica cosa che giustifica
questa tendenza in Italia è la squadra di calcio supportata dal
soggetto", ammette (29). "Ci sarebbe da capirne i motivi, e sarà
oggetto di un prossimo studio comprenderne le cause e gli effetti. Non
posso che affermare, dati alla mano, che chi tifa Juventus, in Italia,
è innegabilmente tentato di commettere anche solo un micro-crimine
privo di significato alcuno, purché abbia la seppur minima garanzia di
impunità."(30). Un altro punto che Johnson e Reynard intendono
analizzare è se sia il tifo per la Juventus la causa e la "tendenza al
crimine" l’effetto, o viceversa.

"Per far questo avremo bisogno di ritornare in loco e affrontare uno
studio su scala più vasta", è la conclusione dei due sociologi
dell’Università dello Iowa. (31)

Di sicuro, nell’ambiente accademico, italiano e non solo, l’articolo
pubblicato dalla Sociology Review ha suscitato non poco scalpore.

[Ma.Ric.]

NOTE:
(1) Johnson P., Reynard E., Berkovitz P.; McKenzie F., Hutchinson S.,
Smith A., Rice A. & Stratton, J. – "Micro-criminality in Italian
modern culture, a case study: Introductory Notes" – in "Sociology
Review" vol.VIII issue 7, pagg. 17-34. Des Moines, UIDM Academic
Press, 2009.
(2) Ibid., pag 34.
(3) "The subjects were thousands", Ibid., pag. 24.
(4) "Prima della sorprendente prova definitiva, non avremmo mai
pensato che una cosa del genere potesse essere presa in seria
considerazione", Ibid, pag. 31.
(5) Nel testo originale "proclivity to crime" (art. cit., pag. 18)
(6) "Would gladly commit a crime" (cit.)
(7) "Any crime would do" (cit.)
(8) "For the mere sake of it" (cit.)
(9) "They felt immune to any kind of possible punishment" (art. cit,
pag. 19)
(10) "We were at a dead end" (art. cit, pag. 27)
(11) Ibid.
(12) "We were unable to solve the riddle" (art. cit., pag. 27)
(13) Ibid.
(14) "We were shocked, mistakenly perceiving this as an archaic,
out-of-time form of physical discrimination we didn’t expect" (art.
cit., pag. 28)
(15) E’ interessante notare come, in modo del tutto naturale, gli
autori dell’articolo abbiano inizialmente pensato all’ovvia deformità
fisica suggerita dal significato letterale del termine. [NdT]
(16) McKenzie F, & Stratton, J. – "Complementary Notes to
Micro-criminality in Italian modern culture" – in "Sociology Review",
vol. VIII issue 7, pagg. 35-38. Des Moines, UIDM Academic Press, 2009.
(17) Ibid., pag. 37.
(18) Descritto come "simpatico, affabile, un po’ sbruffone" ("Nice,
funny, kind – if a bit boasting"), Ibid., pag. 36.
(19) Ancora una volta qui viene adoperato l’arcaico "Hunchback" (NdT)
(20) Secondo i dati di McKenzie, tre persone non sono state
rintracciabili e non hanno quindi potuto partecipare alla seconda
sessione dell’analisi statistica. (NdT)
(21) "Second-wave subjects" – Johnson P., Reynard E., Berkovitz P.;
McKenzie F., Hutchinson S., Smith A., Rice A. & Stratton, J. –
"Micro-criminality in Italian modern culture, a case study:
Introductory Notes", art. cit.
(22) "Which soccer team do you support?" – Ibid., pag. 30.
(23) McKenzie F, & Stratton, J. – "Complementary Notes to
Micro-criminality in Italian modern culture", art. cit.
(24) Qui viene adoperato l’ibrido "juventine", chiaramente mutuato
dall’italiano (NdT) – Johnson P., Reynard E., Berkovitz P.; McKenzie
F., Hutchinson S., Smith A., Rice A. & Stratton, J. –
"Micro-criminality in Italian modern culture, a case study:
Introductory Notes", art. cit., pag. 31.
(25) Ibid., pag. 33.
(26) Ibid.
(27) Johnson, P. & Reynard, E. – "Integration to Micro-criminality in
Italian Modern Culture" – in "Sociology Review", vol. VIII appendix C,
pagg. 11-18. Des Moines, UIDM Academic Press, 2009.
(28) Ibid., pag. 14.
(29) Ibid., pag. 16.
(30) Ibid., pag. 17.
(31) Ibid., pag. 18.

[Repost] Maroni e la tessera contro i tifosi. Per bene.

 

[questa della "tessera del tifoso" e’ una tale porcata fascistoide che ha smosso l’intestino pure a gianni mura, che non ha mai mostrato particolare simpatia verso ultras e tifoserie piu’ o meno "calde"…]

Occuparsi di sport, di calcio in particolare, ha i suoi lati positivi. Per esempio, potrei rivolgermi al ministro Maroni a proposito della sua direttiva sulle trasferte dei tifosi ignorando altre e più drammatiche trasferte sul Canale di Sicilia. Potrei ma non posso. Solo due considerazioni. E’ ben strano l´atteggiamento di molti leghisti. Si propongono come i più accaniti difensori dei valori dell´Occidente cristiano e appena qualche vescovo o qualche prete dice qualcosa che non gli torna lo mandano brutalmente a scopare il mare (è un modo dire milanese, va inteso come ramazzare l´oceano e, in greco, farebbe parte degli adùnata). Poi (prima regola: negare comunque, o almeno mettere in dubbio) è piuttosto atroce il loro far di conto. I 5 vivi dicono che erano in 73, morti recuperati 14 (vado a memoria). E fanno 19, dove sono gli altri 54? Come se il mare fosse un bancomat, una cassetta di sicurezza, ancora un po’ e gli si chiede la ricevuta. Ma si sa che i conti devono tornare (a casa loro anche loro, così imparano).

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[Repost] Un pied-a-terre a Milano

[Repost editato da confindustrial]

 

Uno dei grandi misteri del giro del centenario, fino a ieri, era sul perchè i corridori
fossero stati i primi ad accettare un giro cosi’ brutto.
E la loro protesta di Milano non sara’ contro un progetto generale, meava
ad inserirsi comunque nel quadro… che vede un percorso (anzi, uno
"show") velocissimo e scattante inserito a meta’ corsa, col gruppo
ancora folto e la bagarre nel vivo.


Cio’ che piu’ stupisce della protesta di Milano e’ la reazione di Zomegnan,
una reazione stizzita e permalosa, come farebbero un Berlusconi o un Beppe Grillo qualunque. La reazione di chi comincia a sentirsi bruciare
il culo dopo aver tanto decantato un "prodotto" dimostratosi scadente
agli occhi di tutti i suoi "fruitori", prima ancora di essere arrivati
a meta’.


Ed e’ quasi un peccato che l’organizzazione abbia reagito cosi’, perche’
avrebbe potuto comunicare tutt’altro in questa occasione. quello che,
involontariamente, hanno comunicato i corridori stessi.

Continue reading “[Repost] Un pied-a-terre a Milano”

Ultimo modello di tifoso: il razzista azzurro

 

Riportiamo, tanto per far vivere ogni tanto il sito, e a dispetto degli altri soci che parlano parlano ma alla fine non fanno una mazza, un articolo da un sito di tifosi interisti, ma che mette in luce un fenomeno orribile di cui siamo stati testimoni in svariati forum di tifosi: l’emergere di un razzismo per nulla velato che si riassume nella frase "non esiste un negro italiano". Ci spiace per tutti i nazistoidi in giro per gli stadi e per i loro soci qualunquisti, esiste, ed è fortissimo.

scritto da watergate
venerdì, 05 settembre 2008
alle 09:52

   La
galleria dei pagliacci da circo mascherati da tifosi di calcio è ricca
e variopinta come un museo di storia naturale, ma l’ultimo esemplare
arrivato e messo in mostra suscita più ribrezzo di un singolo dance di
Gigi D’Alessio. Non che non ci siamo abituati, beninteso. Una
delle peggiori eredità di Calciopoli è lo juventino incazzato col
mondo, che pensa di essere vittima di un complotto planetario ordito da
una personalità che prima giudicava demente e adesso reputa capace
delle peggiori diavolerie.
Non starò a rovinarvi il fegato con
della bassa sociologia. Gli juventini hanno sempre rubato e lo sanno
bene. Vivono questo dramma interiore scaricando le colpe sugli altri,
nonostante abbiano commesso le peggiori ruberie della storia dello
sport. Ora, aggiungete a questa già preoccupante paranoia un pizzico di
xenofobia, del sano orgoglio razzista e troverete pronto il nuovo
orrido esemplare che da tempo urla negli stadi e scaccola nei forum dei
principali siti italiani al grido di "Non Esiste Un Negro Italiano",
già sentito durante il Trofeo Tim. L’anti-interista razzistoide che non
vuole Balotelli in quanto nero e figlio di genitori ghanesi.

   La storia di Balotelli è da copertina, meravigliosa, indice di
quella integrazione che – a parer mio – arricchisce un popolo. Io ho le
mie idee politiche ma so per certo che uno dei migliori modi per
progredire è integrarsi, al di là delle naturali esigenze di sicurezza
che possiamo desiderare in un dato momento storico (e in particolari
condizioni… non entro nel merito della polemica politica, non è la
sede). Tuttavia, a Mario Balotelli alcuni tifosi anti-interisti (e
saranno sempre di più dato che l’ignoranza impregna più della saggezza)
vorrebbero impedire, da italiano come loro, di vestire la casacca della
Nazionale. Ecco alcuni commenti fatti passare dalla moderazione del sito della Gazzetta dello Sport.

Badboy83 (milanista e sardo come me): "Sei fortissimo ma non basta avere il cognome italiano per la maglia azzurra… sei ghanese onora quella maglia". Member 189076 (sembrerebbe di Arcore) ci pensa su e dichiara: non credo sia giusto portarlo in Nazionale.
Un tizio chiamato Bergarich ci va duro con lo stereotipo del calciatore
africano, mettendo in dubbio l’età di SuperMario (registrato
all’anagrafe di Palermo!):  "Credo che dovrebbero studiare il
fisico di questo calciatore. Non ho mai visto un calciatore con quel
fisico a 17 anni. Secondo me ha quasi 30 anni
". L’aggravante di proporre la cura in stile T4 non è niente male. Il Fenomeno27 ha paura del melting-pot, rispolverando un vecchio refrain caro a Le Pen: "Tra poco l’Italia assomiglierà alla Francia, che delusione!". E così via. Gente decerebrata che dice "purtroppo ci toccherà vederlo in Nazionale" si trova anche qui, altrove si fa ancora ricorso al colore della pelle per determinare la nazionalità. Qui pure c’è tanta spazzatura. Qua siamo al delirio. Siccome tutto il mondo è paese ne accomuna più la stupidità che l’intelligenza: non mancano i tifosi interisti "contrari" a SuperMario.

   Ecco, se c’è un segnale che la scuola italiana ha completamente
fallito il proprio obiettivo, negli ultimi 25 anni, è questo: degli
stupidi sgrammaticati che scrivono cose indicibili degne di peggior
causa.

da bauscia.splinder.com

[Calcio Metafora] L’Italia è in Europa

Sui libri di storia di solito c’è
scritto “si respirava un clima generale di paura e odio”. Sui
giornali sportivi si accenna soltanto a incroci pericolosi e retate
dei birri (europei) contro i cattivoni nazi. Poi fine, che il calcio
ci deve fare rilassare. In realtà però questo inizio di
Europeo, oltre a fornire spettacoli squallidi (vedi Romania Francia)
ha dato in pieno l’idea di cosa significhi sentirsi in Europa. Si sa
che noi italiani quando facciamo le cose le facciamo per bene. Siamo
in grado, di solito, di capire da che parte tira il vento e remare
immediatamente in quella direzione. Anche prima di altri. E allora la
barbarie italiana non sembra stupirci, dando un occhio a quello che
gira intorno all’Europeo di calcio.

Calcisticamente parlando,
ad esempio, vedere i polacchi contro i tedeschi, si fa presto a
decidere per chi tifare. I panzer ad ogni corsetta o passaggio
sembrano urlare Anschluss. Ad ogni cross, sembrano marciare
in migliaia, uniti e compatti a riempire aree di rigore come fossero
piazze. Poi quella fascia nera sulla maglietta, che non preannuncia
niente di buono. Invece loro i polacchi, hanno la maglietta rossa.
Anche se il brand è Puma, lo stesso dell’Italia, della
Svizzera, dell’Austria (tutte perdenti: porta mica sfiga?) sembra una
di quelle divise delle squadre dell’est dei pre Ottanta. Strette e un
po’ sfigate. Sarà quella scritta a destra, Polska e
quel baffetto dietro. Molto Goodbye Lenin. Poi dopo 5 minuti li
infila proprio lui, Podolsky, il centravanti polacco (ma che gioca
con la Germania) che gli servirebbe, per aiutare il suo connazionale
Smolarek, occhi spenti e fisico sfigato: sembra appena uscito di
nascosto da un corso di marxismo per andare a pregare sulla tomba di
Woitila.

E invece il panzer acquisito ne mette dentro
un’altra e fa la faccia triste. Qualcuno pensa: hai fatto gol,
esulta! Se sei così triste potevi pensarci prima e scegliere
di giocare con i tuoi fratelli polacchi. La pensa così un ex
ministro nazionalista polacco: via la cittadinanza a quel bastardo!
Ma non solo. I tedeschi sono stati zitti, dopo, ma anche prima:
quando un quotidiano polacco ha mostrato l’immagine del mister
polacco (che polacco non è) tenere tra le mani lo scalpo di
Ballack e del tecnico tedesco. Agghiacciante e perfetto: le due teste
penzolanti avevano gli occhi chiusi. Quando si dice l’attenzione ai
dettagli. E finisci che godi alla doppietta del polacco tedesco. Ben
vi sta. E poi siete la terra del Papa che ha sconfitto il comunismo:
non ve lo perdoneremo mai.

Ognuno quindi si incita e aizza a
proprio modo, in un clima che viene da rimpiangere quelle belle
gradinate carioca o africane che si vedono ai mondiali. E’ la vecchia
Europa che annega nella sua merda, invece, quella che vediamo nel suo
riflesso calcistico e di tifo.

Per caricarsi prima delle
partite Materazzi – simbolo della perfidia e della cattiveria
calcistica – aveva detto di ascoltare Notti Magiche, innocuo, mi
pare. Bilic, mister della Croazia, invece intona canti nazisti degli
ustascia e pretende che i suoi giocatori cantino insieme a lui. La
cosa grave non è la scelta di Bilic. E’ che tutti i giocatori
cantano. E per non farli sentire soli, la stessa canzone (una hit
nazi croata) la cantano anche i loro tifosi. Se si aggiungono i nazi
tedeschi, i nazi austriaci e i consueti tricolori littorici italiani,
quel solito nasino all’insù dei francesi e gli inglesi che non
ci sono ma che decidono che Modric (lo conoscete?) è il quinto
– o il quarto e comunque viene prima di Ibra, per dire – migliore
giocatore europeo solo perché ha fatto fuori loro, dobbiamo
sperare davvero che passino questi vecchi europei e arrivino i
mondiali con altre civiltà che si affacceranno allo stadio e
ci diranno: fate proprio cagare, europei!

[Calcio metafora] Donadoni e la memoria

Italia-Olanda 0-3

Siamo
un paese senza memoria, in cui i colpi bassi arrivano anche da quei
pochi uomini che decidiamo di supportare. Perfino nel calcio,
passatempo godurioso che seguiamo ormai senza passione, ma con
attenzione e curiosità tattica immutata. E così
Donadoni da simpatico diventa una delle nuove cause perse, mettendo
in campo – all’esordio dell’Europeo – una squadra che ha ricordato il
Genoa all’esordio in A: 0-3 dal Milan e l’idea che uomini e
allenatore fossero vagamente allo sbaraglio nella competizione da
affrontare. Non di categoria, per dire.




Si diceva della
memoria: non ci ricordiamo le leggi razziali e Donadoni non ricorda
il campionato appena concluso. O abusa di erba (perdita della memoria
breve) o anche lui è vittima della presunzione tutta
sacchiana. Quello che pensava di trasformare un bomber (Signori) in
un difensore, tanto per intenderci. Quello che pensava di avere
inventato il calcio, anche.
 
Quali sono stati i segnali del
recente campionato? Che il Milan è cotto. Che il Palermo ha la
terza peggiore difesa del campionato. Che Materazzi è
inguardabile. Che Camoranesi ha fatto un’annata agghiacciante.


Ieri
contro l’Olanda l’Italia ha schierato: il centrocampo del Milan
(mentre i tonici romanisti Perrotta, De Rossi e Aquilani si
sbaciucchiavano con le mogli e giocavano a nascondino con i figli,
tanto non sarebbero mai entrati), Materazzi, Barzagli e Camoranesi
(con Cassano in panchina. E se un genoano urla al sacrilegio, ci sarà
un motivo!). Perché? Mistero.




E ancora. Come diceva il
maestro Brera, i nostri successi sono sempre arrivati quando abbiamo
giocato seguendo antropologiche regole applicate al calcio. Che paese
è l’Italia? Un paese di carogne, di pecoroni, di meschini,
ignavi, gente senza coraggio, timorosa e forte solo con i deboli
, che
dà il meglio (o il peggio a seconda della visuale) quando
scatta l’emergenza. Ed ecco i furbetti, l’astuzia, il “dimmelo tu
che te lo dico io”
. Tradotto in calcio: dietro a fare finta di
morire piangendo e invocando Padre Pio e quando meno te lo aspetti
ecco la furbata (cadute, falletti e contropiede) e bestemmia come
esultanza. Siamo così.




Invece Donadoni sceglie il
tridente. Però, forse per rispetto delle nostre
caratteristiche storiche, o per paura dei giornalaia allenatori, lo
maschera: e così Di Natale e Camoranesi seguono i folletti
olandesi posti tra le linee (Snejder e Van Der Vart) e ballano in
continuazione, senza difendere e senza avere il pelo per l’attacco,
sbilanciando una squadra che a tratti è apparsa più in
balia
di se stessa che non degli avversari.




Ora a questo
punto contro i rumeni è il dramma sportivo. Preferiamo un
successo di Mutu e compagni che minimamente vendichi le angherie che
sopportano i loro connazionali in Italia, o in fondo il calcio non è
la politica e quindi auguriamoci di asfaltarli e andare avanti,
almeno mantiene un po’ di interesse questo Europeo che, se non ci
fossimo stati noi a beccare tre pere, sarebbe uno dei più
noiosi, insipidi e meno interessanti della storia?


Euro 2008: un altro punto di vista

 

Questo blog avrebbe molto da dire, ma chi ci scrive è malato di cialtronite cronica, quindi vi dovrete accontentare della sua estrema discontinuità. In questo momento vorremmo parlare degli Europei che arrivano, ma in effetti c’è chi lo farà in maniera più interessante di noi. Al massimo ci cimenteremo in valutazioni calcistiche, dato che quelle sociali e politiche hanno ampio spazio su un blog dedicato: euro08.noblogs.org

Stampate, diffondete, pensate!

Una società di calcio moderna

 

A tutti noi rivoluzionari della domenica piacerebbe avere una squadra di calcio nuova, legata a una gestione popolare e collettiva, ma capace di competere ai massimi livelli, una sorta di Saint Pauli della serie A. Purtroppo però il tempo delle favole è finito da un pezzo nel mondo pallonaro, e in ogni caso prima di immaginare un modello societario nuovo per un team di calcio, dovremmo forse provare a conoscerne i meccanismi un po’ più a fondo. Continuando a seguire con attenzione alcuni processi in atto, vedi il tentativo di azionariato popolare per salvare lo Spezia Calcio, non si può non notare come in Italia si abbiano molti esempi di come dovrebbe essere una società di calcio moderna di alta fascia. Alcuni si possono considerare più riusciti, altri sono invece catastrofici. Nessuno ovviamente può considerarsi neanche lontanamente vicino alla perfezione. Cerchiamo di andare con ordine, vedere alcuni esempi e poi cercare di mettere in fila come dovrebbe funzionare in teoria.

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