Da Spagna a Raciti fino all’utlimo stadio

«Nessuno
petarda, nessuno fumogena, nessuno coltella, nessuno bandiera.
Nessuno allo stadio», cantavano Elio e le Storie Tese nel 1994.
L'ironia potrebbe finire qui. Dal 1995 al 2007 sono passati 12 anni,
vari decreti legge anti violenza, molti soldi, miliardi di parole,
ogni volta uguali. Da «Spagna» all'ispettore Raciti, il
tempo ha anche constatato la sconfitta di idee da parte del mondo
ultras e la vittoria del calcio moderno. Come tra due guerre, gli
equilibri sono cambiati, la socialità si è involuta, il
«territorio stadio» sarà in ordine e disciplinato.
Non è cambiato niente, è cambiato tutto.

I
milanisti non andranno a Genova. Atmosfera troppo calda. Troppa
voglia di vendetta. Di visibilità. Troppo alto il rischio.
Razionalmente e tatticamente, la soluzione più ovvia.
Inquadrata in 12 anni di tripudio di neocalcio, decisamente meno.
Niente accade per caso, specie dopo una nuova legge speciale. Quali
milanisti, c'è da chiedersi allora, non andranno a Marassi? A
quali altri tifosi verrà proibito prossimamente? Il futuro
potrebbe riservarci uno stadio dove solo benpensanti (ricchi) e
composti tifosi (ricchi) potranno sedersi sulle poltroncine (comode),
chiacchierando amabilmente della pistola dello steward (grosso),
usata solo sporadicamente per mandare via qualche tifoso (violento),
che si è alzato in piedi a urlare vaffanculo al proprio
centravanti che si è mangiato un gol, cosa sgradita e vietata.
Gli altri tifosi (ricchi) infatti, come in un reality sapranno già
il risultato finale: lo stadio diventerà come un cinema.
29
gennaio 1995. Per chi c'era e per chi non c'era le immagini nella
memoria sono le stesse: i giocatori di Genoa e Milan sono fermi al
centro del campo, Torrente, capitano rossoblù, si avvicina
alla Nord. Parla con i tifosi. Si è appena saputo che Vincenzo
Spagnolo, accoltellato fuori dallo stadio prima dell'inizio della
partita, è morto. Dalla Nord, la gradinata dei tifosi
rossoblù, si alza l'idrante che spara acqua e si crea il
vuoto. «Fuori, fuori», si sente urlare. Infine il coro,
«Assassini». Erano passati 38 minuti dall'inizio del
match, la partita è sospesa. I tifosi del Milan usciranno
dallo stadio di notte, dopo ore e ore di scontri sotto il settore
ospiti tra genoani e forze dell'ordine a impedire l'imbocco fatale in
curva. Simone Barbaglia verrà arrestato come autore del
delitto. «Potevo continuare a scappare col mio coltello verso
la curva sud, oppure fermarmi vicino a Carlo e tirare nuovamente
fuori il coltello. L'idea di farmi vedere da Carlo scappare e di
dimostrargli che non avevo abbastanza coraggio per imitarlo mi era
insopportabile, sarebbe stato umiliante per me». E' Barbaglia
che racconta il tragico episodio ai giudici. Carlo è Carlo
Giacominelli, detto «il chirurgo» per la sua abilità
con il coltello e fondatore delle Brigate 2, dichiaratosi «leghista»
alla Corte.
Il mondo ultrà reagisce: su iniziativa di
genoani e doriani, a Genova si incontrano quasi tutti i
rappresentanti dei gruppi italiani. E' comunque un segno,
un'operazione che non è riuscita dopo la morte di Raciti. Nel
1995 c'è una battaglia da fare – dopo la legge 401 del
dicembre 89, prodromo del Daspo – che sa di conservatorismo (la
vicenda di Barbaglia viene anche inquadrata nella perdita di
legittimità dei gruppi ultrà storici a fronte di
gruppetti senza storia e senza regole), ma proiettata sulla volontà
di stabilire nuovi assetti ed equilibri. Come ogni battaglia sospesa
tra passato e futuro, senza una strategia ben delineata, l'evento è
anche un grido di allarme: non è solo l'ultrà ad essere
vittima di atomizzazione sociale e mancanza di spinta etica
all'aggregazione.
«Basta lame basta infami», è
il motto che scaturisce dall'happening. Ma il tempo sembra scorrere
senza colpi di coda degni di nota. A fare da padroni sono le leggi
che inaspriscono le pene, mentre aumentano gli scontri tra tifosi e
forze dell'ordine. Nel 2002 un altro colpo: diventa possibile
l'arresto degli ultras nelle 36 ore successive ai fatti di violenza,
anche sulla base di filmati tv o fotografie, presto allargato anche
al di fuori del mondo sportivo. Nel febbraio 2007 ancora un morto.
Questa volta a morire è un poliziotto. La cosa è
considerata più grave. Nuova legge speciale, nuovi proclami,
stadi chiusi per diverse domeniche, quello di Catania fino alla fine
del campionato. Dopo l'estate tutto sembrava tornato alla normalità,
le notturne, le esigenze delle pay tv. Ma ecco subito una partita a
rischio, impossibile da gestire pare. Le cose cambiano solo per i
tifosi e del resto, anche un precedente così importante, si
farà presto a dimenticarlo.

(fonte: Il Manifesto) 

2 Replies to “Da Spagna a Raciti fino all’utlimo stadio”

  1. mi dispiace x la moglie e la figlia ma il sig.raciti e morto x colpa dei colleghi,ke hanno fatto entrare i tifosi palermitani all’inizio del secondo tempo,provocando quello ke e successo.viva gli ultras viva la liberta’.l’ultras nn e il male del calcio nma sono gli sbirri il vero male.acab all coops are bastard

  2. Vogliono fare diventare gli stadi luoghi di consumo centri commerciali e teatri.La repressione e la pioggia di bamba sulle curve serve a questo. Resistiamo.Il calcio professionistico non sopravviverà alla fine degli ultras.
    ACAB

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